Notifica via PEC degli atti tributari: primi interventi dei giudici di merito e criticità della novellata disciplina

26.06.2017

Pubblicato su Corriere Tributario, n. 26/2017

Incipit

In tema di notificazione delle cartelle di pagamento mediante posta elettronica certificata, qualora il ricorrente puntualmente eccepisca in giudizio la irritualità della procedura per inosservanza delle modalità positivizzate dall'art. 26 - D.P.R. n. 602/73, dal D.P.R. n. 68/2005 e dal D. Lgs. n. 82/2005, l'ente riscossore dovrà versare agli atti del processo copie conformi all'originale delle ricevute di "accettazione" e di "avvenuta consegna" del messaggio contenente l'atto notificando, nonché dovrà debitamente provare di aver effettivamente spedito tramite PEC un documento informatico munito dei requisiti di "immodificabilità" ed "integrità" e non già una mera scansione dell'atto in formato analogico (cartaceo). Sicché, laddove, agli atti di causa, fosse assente anche una soltanto delle prove documentali de quibus, non potrebbero che ritenersi fondate le doglianze mosse dal ricorrente in punto di irritualità del procedimento notificatorio, con consequenziale declaratoria di giuridica inesistenza del medesimo.

È questa la sostanza che emerge da due recenti sentenze di merito, con cui i Giudici di prime cure di Savona[1] e Roma[2], seppur affrontando la subiecta materia da angolazioni differenti e non senza qualche interpretazione per così dire ardita, offrono interessanti spunti da cui muovere i primi passi nel malagevole sentiero delle notificazioni telematiche dei provvedimenti tributari di natura sostanziale.

Le vicende processuali

Prima di indugiare sulla disciplina della notificazione mediante PEC, si rende doverosa una breve illustrazione delle fattispecie sottoposte alle cure dei Decidenti, relativamente a ciascuna delle sentenze in commento.

In entrambi i casi, oggetto di ricorso erano delle intimazioni di pagamento, di cui il ricorrente chiedeva l'annullamento dolendosi della omessa rituale notificazione delle prodromiche cartelle di pagamento quivi richiamate.

Ora, in seno al processo incardinato dinnanzi alla C.T.P. di Roma, Equitalia Sud, costituendosi in giudizio, si limitava a produrre, per ciascuna delle presupposte cartelle di pagamento di cui se ne contestava la mancata notifica, documenti asseritamente idonei ad attestare l'invio del messaggio di posta elettronica contenente gli atti della riscossione de quibus.

Ebbene, i Giudici capitolini, accogliendo in toto le lagnanze della parte privata, sancivano la patente insufficienza ed inadeguatezza della documentazione agli atti al fine di comprovare la legittimità della procedura di notificazione, sostenendo che unici documenti idonei ad attestare la validità della notificazione informatica sono la "ricevuta di accettazione" del messaggio da parte del gestore PEC del notificante e la "ricevuta di avvenuta consegna" dello stesso rilasciata dal gestore PEC del destinatario. Ed inoltre, continua la Curia di Roma, le mere stampe di siffatte ricevute non sono bastevoli per comprovare «quale atto sia stato effettivamente allegato al messaggio originale inviato al destinatario sia perché trattasi di semplici fogli di carta dai quali non è possibile in alcun modo riconoscere l'origine. A tal riguardo le suddette stampe ben potrebbero esser artatamente create attraverso programmi di redazione testo. In conclusione Equitalia [...] avrebbe dovuto depositare in giudizio i file digitali delle richiamate ricevute di accettazione e di consegna ovvero corredare le relative stampe munite dell'attestazione di conformità...»[3].

Diversamente pronunciando, la C.T.P. di Savona, dopo aver giudicato regolarmente notificate le prodromiche cartelle, ha invero ritenuto fondato il pregiudiziale motivo afferente alla giuridica inesistenza della procedura di notificazione della impugnata intimazione di pagamento, sostenendo, seppur con una ratio decidendi alquanto criptica, che i documenti inviati via PEC fossero «carenti di quelle procedure atte a garantirne la genuina paternità, nonché mancanti della firma informatica e/o digitale, e non rispondenti a criteri di univocità ed immodificabilità, per cui non garantiscono il valore di certezza e di corrispondenza, peraltro confortato dall'attestazione di conformità, del tutto assente, invece previsti indefettibilmente dalle disposizioni normative sopra richiamate...»[4].

I principi giuridici che precedono meritano di esser approfonditi.

Breve focus sulla disciplina.

In ambito tributario, la notificazione mediante posta elettronica certificata è stata introdotta, per la prima volta, con D.L. n. 78/2010, il cui art. 38, comma 4, ha modificare l'art. 26 - D.P.R. n. 602/73, quivi introducendo, al comma secondo[5], la facoltà (non l'obbligo), in capo all'Agente della Riscossione, di notificare le cartelle di pagamento e gli altri atti riscossivi, mediante posta elettronica certificata, con le modalità di cui al D.P.R. n. 68/2005, specificando la non applicabilità dell'articolo 149 bis del codice di procedura civile.

Indi, il comma secondo del menzionato art. 26, è stato sostituito da una disciplina più articolata - introdotta dall'art. 14, comma 1, D. Lgs. 24 settembre 2015, n. 159, in vigore a far data dall'1 giugno 2016 - mediante cui, ferma restando la non applicabilità del mentovato art. 149 bis, la procedura mediante PEC è divenuta modalità di notificazione obbligatoria nei confronti delle imprese individuali o costituite in forma societaria, nonché dei professionisti iscritti in albi od elenchi[6].

Infine, il lungo travaglio legislativo ha trovato il suo culmine nelle novelle introdotte all'art. 26 - D.P.R. n. 602/73 ed all'art. 60 - D.P.R. n. 600/73, dall'art. 7 quater - D.L. n. 193/2016, nel testo risultante dalla conversione operata dalla Legge n. 225/2016[7], il quale ha inserito il nuovo comma settimo al prefato art. 60 ed ha nuovamente modificato il secondo comma dell'art. 26 (che adesso si limita ad un mero rimando alle disposizioni portate dal mentovato art. 60), estendendo la facoltà della notificazione mediante PEC anche agli Uffici dell'amministrazione finanziaria, ferma restando la inapplicabilità dell'art. 149 bis del codice di procedura civile, sì confezionando una disciplina unitaria per gli atti impositivi ed i provvedimenti riscossivi, seppur irta e foriera di difficoltà interpretative ed applicative che certamente si proporranno non appena la novellata disciplina entrerà a pieno regime, su cui ci si soffermerà nel prosieguo del presente commento.

Sicché, de iure condito, dal momento che, argomenta il successivo comma settimo del citato art. 7 quater, le neo-introdotte disposizioni troveranno applicazione per le notificazioni effettuate a decorrere dal 1° luglio 2017, rimane ad oggi operativa, tanto per gli atti riscossivi, quanto per quelli dell'imposizione, la previgente disciplina in vigore fino al 2 dicembre 2016, la quale sancisce l'obbligo di notificazione mediante PEC esclusivamente in seno ai provvedimenti emessi dall'Agente riscossore e limitatamente ai casi in cui destinatario dell'atto notificando sia una impresa od un professionista iscritto in un albo (od elenco).

Ora, compiuto questo breve ma doveroso excursus, tralasciando gli aspetti squisitamente tecnici e le peculiarità operative risultanti dalla disciplina recentemente introdotta, già oggetto di diffusa trattazione da parte della dottrina[8], si ritiene d'uopo focalizzare l'attenzione su degli aspetti cardine della procedura di notificazione tramite PEC, rimasti immutati anche a seguito delle modifiche apportate dal Legislatore del 2016, da cui traggono scaturigine delle interessanti questioni processuali, in relazione alle quali la giurisprudenza di merito ha di recente iniziato ad approcciarsi, seppur non senza asperità, sì come evincibile dalle pronunce in commento.

Il riferimento è senz'altro alla natura dell'atto oggetto di trasmissione "telematica", nonché alla documentazione ipso iure idonea ad attestare la ritualità della siffatta notificazione a mezzo Pec.

La inapplicabilità dell'art. 149 bis - c.p.c. ed il consequenziale divieto di trasmissione della copia informatica del provvedimento in originale analogico.

Ut supra argomentato, filo conduttore delle varie modifiche apportate alla disciplina de qua è certamente rappresentato dalla esplicita inapplicabilità - alle notificazioni telematiche delle cartelle di pagamento ed, a far data dall'1 luglio 2017, anche degli avvisi di accertamento - dell'art. 149 bis del codice di procedura civile, norma che positivizza la facoltà, in capo all'ufficiale giudiziario, di effettuare la notificazione a mezzo posta elettronica certificata anche di una copia informatica del documento cartaceo.

Conseguentemente, in materia di notificazione degli atti tributari, il Legislatore ha expressis verbis imposto l'obbligo di trasmissione, a mezzo posta elettronica certificata, esclusivamente del documento in originale informatico, escludendo categoricamente la possibilità di effettuare l'invio telematico di una mera scansione, in formato PDF, del provvedimento originariamente emesso in formato analogico, ragion per cui, laddove così non fosse, la procedura notificatoria sarebbe giuridicamente inesistente, in quanto esorbitante dallo schema normativo in essere.

La ratio di siffatta disciplina è rinvenibile, senza soverchia difficoltà, nelle definizioni di "documento informatico" e di "copia informatica di documento analogico", portate dal "Codice dell'Amministrazione digitale", ovverosia il già citato D. Lgs. n. 82/2005, nonché delle caratteristiche e della rilevanza giuridica ad essi attribuita.

Più nello specifico, secondo quanto disposto dall'art. 21, commi 1 e 2, del prefato Decreto, solamente il documento informatico[9] su cui è apposta la firma digitale, formato secondo le specifiche tecniche di cui al D.P.C.M. 13 novembre 2014[10], è munito delle oggettive caratteristiche di "qualità", "sicurezza", "integrità" ed "immodificabilità".

Invero, argomenta il successivo art. 22 del CAD, rubricato "copie informatiche di documenti analogici"[11], «la copia per immagine su supporto informatico (la mera scansione in formato PDF, n.d.r.) di documenti originali formati in origine su supporto analogico hanno la stessa efficacia probatoria degli originali da cui sono estratte, se la loro conformità è attestata da un notaio o da altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato».

Ergo, escludendo l'applicabilità dell'art. 149 bis - cod. proc. civ., il Legislatore ha voluto imporre l'obbligo della notificazione tramite PEC del documento informatico, accompagnato da apposita firma digitale, in quanto unico documento dotato dei requisiti di cui sopra, ben conscio del fatto che la notificazione degli atti della riscossione non viene espletata mediante intermediazione dell'ufficiale giudiziario, soggetto invero legittimato a conferire efficacia fidefacente alla mera scansione del documento cartaceo, bensì dal soggetto a cui è deputata la gestione del servizio di posta elettronica certificata, il quale non è in possesso della qualifica di pubblico ufficiale.

Del resto, il successivo art. 48 del D. Lgs. n. 82/2005 equipara la trasmissione (esclusivamente) del documento informatico per via telematica alla notifica a mezzo posta, il che si traduce nel fatto che la trasmissione di una semplice "copia per immagine del documento analogico" esorbita dal regime delle notificazioni e, pertanto, sarebbe inidonea a garantire conoscenza legale del provvedimento amministrativo al suo destinatario.

Pertanto, qualora il ricorrente eccepisca il difetto di notificazione della cartella di pagamento, contestando esplicitamente la natura del documento telematicamente trasmessogli, incomberà sulla parte resistente, nel rispetto del legittimo riparto dell'onus probandi, l'onere di provare in giudizio di aver inviato tramite PEC un documento informatico integro ed immodificabile, creato previa apposizione di valida firma digitale generata sulla base di un certificato qualificato rilasciato da soggetto all'uopo abilitato; certificato che, ai sensi dell'art. 24 - CAD, al momento della sottoscrizione dovrà risultare in corso di validità, dacché «l'apposizione a un documento informatico di una firma digitale [...] basata su un certificato revocato, scaduto o sospeso equivale a mancata sottoscrizione».

Di conseguenza, qualora non fosse processualmente provata la osservanza delle prescrizioni normative che precedono, il procedimento notificatorio non potrebbe che esser dichiarato giuridicamente inesistente, giammai potendo operare alcuna "sanatoria per raggiungimento dello scopo" ex art. 156 c.p.c., dacché, come fatto rilevare da attenta giurisprudenza di merito[12], dal momento che il contribuente notificatario non riceve più l'originale del provvedimento ad egli destinato, allora, in assenza di prova sul fatto che il documento trasmesso telematicamente fosse in possesso dei crismi propri del "documento informatico", non sussisterebbe alcuna certezza legale sul fatto che quell'atto sia identico in tutto il suo contenuto al provvedimento in originale e che esso sia giunto integro al suo destinatario e, pertanto, l'atto asseritamente notificato sarebbe certamente inidoneo a manifestare la volontà dell'amministrazione e ad incidere nella sfera del destinatario, essendo, tale volizione ed il connesso potere impositivo/riscossivo, rimasti inespressi, poiché mai introdotti nella sfera di conoscibilità del contribuente.

Ebbene, quanto accaduto nella fattispecie sottoposta alle cure della C.T.P. di Savona oggetto di commento, è perfettamente inquadrabile nella situazione dianzi prospettata, posto che i Giudici di prima istanza, chiamati a pronunciarsi sulla rispondenza alla legge della notificazione di una intimazione di pagamento, esaminata la documentazione agli atti di causa, hanno ritenuto fondate le doglianze del contribuente, seppur adoperando una terminologia avviluppata, sostenendo che «i documenti inviati via PEC [...] sono del tutto carenti di quelle procedure atte a garantirne la genuina paternità, nonché mancanti della firma informatica e/o digitale, e non rispondenti a criteri di univocità ed immodificabilità, per cui non garantiscono il valore di certezza e corrispondenza»[13].

La documentazione attestante il perfezionamento della notificazione mediante Pec.

Diversa, invero, la questione affrontata dalla C.T.P. di Roma, afferente all'ipotesi in cui il ricorrente contesti la omessa notificazione della cartella di pagamento sottesa ad un atto successivo (intimazione, preavviso di fermo, iscrizione ipotecaria) ovvero impugni la stessa "al buio", qualora ne venga per la prima volta a conoscenza aliunde, cioè dire per il tramite della stampa dell'"estratto di ruolo", in sostanza lamentando di non aver mai ricevuto in rituale notificazione i provvedimenti ivi riportati.

In ipotesi di tal fatta, al fine di prender contezza circa la documentazione ex lege atta a comprovare l'avvenuto perfezionamento del procedimento notificatorio, giova esaminare la disciplina portata dal D.P.R. n. 68/2005 e dal Decreto Ministeriale 2/11/2005, recante "Regole tecniche per la formazione, la trasmissione e la validazione, anche temporale, della posta elettronica certificata", al quale si fa rimando per un approfondimento sulle specifiche tecniche concernenti l'intera procedura di notificazione telematica.

Per quanto in questa sede rileva, la procedura di notificazione telematica prevede, ut supra rammentato, l'intermediazione di un soggetto terzo privato, il c.d. "gestore accreditato del servizio PEC", ovverosia di un ente che, argomenta l'art. 2 - D.P.R. n. 68/2005, previa iscrizione nell'apposito elenco tenuto dall'Agenzia per l'Italia Digitale ex art. 14 del medesimo decreto, eroga il servizio di posta elettronica certificata e gestisce i domini PEC. Orbene, il procedimento di spedizione certificata ha inizio con la consegna del provvedimento, da parte del soggetto notificante, al proprio gestore del servizio PEC, sì come statuito dall'art. 3 - D.P.R. n. 68/2005, laddove testualmente dispone che «il documento informatico trasmesso per via telematica si intende spedito dal mittente se inviato al proprio gestore». Indi, prescrive il successivo art. 6, il gestore rilascerà al mittente la "ricevuta di accettazione" ove sono contenuti i dati di certificazione che costituiscono la prova dell'avvenuta spedizione del messaggio telematico.

In buona sostanza, in seno alla procedura di notificazione telematica, la consegna dell'atto da notificare all'ufficiale postale è stata tout court sostituita dall'invio al gestore PEC, il quale rilascerà la "ricevuta di accettazione" che, a tutti gli effetti, assume il medesimo valore giuridico che la "ricevuta di spedizione" assume con riguardo alle notificazioni tramite il servizio postale universale, in ragione di quanto disposto dal richiamato art. 48 - D. Lgs. n. 82/2005 («La trasmissione del documento informatico per via telematica [...] equivale, salvo che la legge disponga diversamente, alla notificazione per mezzo della posta»).

In seguito, il gestore del servizio PEC provvederà a trasmettere il messaggio alla casella di posta elettronica del destinatario, mantenendo traccia di tutte le operazioni svolte e di tutte le informazioni attinenti alla spedizione medesima, - quali il codice identificativo univoco assegnato al messaggio originale, la data e l'ora dell'evento, l'identificazione del mittente e del destinatario, l'oggetto della trasmissione e le eventuali avvenute accettazione/ricezione/consegna - a cui viene assicurato valore legale tramite l'apposizione della firma digitale sempre sulla base di apposito certificato in corso di validità.

Sicché, qualora la trasmissione vada a buon fine e, pertanto, venga consegnata alla casella PEC del notificatario, il gestore di quest'ultimo formerà una "ricevuta di avvenuta consegna"[14], immediatamente inviata al gestore PEC del mittente, la quale quel documento ipso iure idoneo a provare l'avvenuta rituale notificazione dell'atto, certificando, con valore legale, la data e l'ora esatta di invio e dell'avvenuta consegna, nonché assicurando l'integrità della trasmissione, ovverosia che il provvedimento giunto a destinazione sia identico a quello inviato dal mittente, fermo restando che, sì come già ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità, siffatta ricevuta non è munita di quella "certezza pubblica" propria degli atti facenti fede fino a querela di falso, in quanto rilasciata da soggetto pur sempre privato, privo del naturale potere di attribuire "pubblica fede" al documento, ai sensi dell'art. 2699 c.c.[15]. In buona sostanza, laddove la parte contro cui è prodotto il documento de quo intendesse contestarne il contenuto, dovrà "limitarsi" a comprovare giudizialmente tale contestazione, non essendo necessario proporre alcuna "querela di falso" (a meno che il servizio di posta certificata non sia gestito direttamente dalla pubblica amministrazione).

Ebbene, tirando le fila delle argomentazioni che precedono, qualora il contribuente impugni un provvedimento amministrativo tributario contestando la omessa notificazione dell'atto presupposto, parte resistente dovrà peritarsi di fornire in giudizio, al fine di superare una eccezione di siffatta portata:

  • le ricevute di "accettazione" e di "avvenuta consegna" del messaggio PEC, in quanto unici documenti ex positivo iure deputati a dimostrare l'avvenuto espletamento della procedura di notificazione;
  • il certificato legittimante l'apposizione della firma digitale da parte del gestore, onde comprovare l'integrità del messaggio oggetto di trasmissione, nonché conferire valenza giuridica alle ricevute de quibus. All'uopo si rammenta che, ai sensi dell'art. 24, co. 4 bis - D. Lgs. n. 82/2005, «l'apposizione [...] di una firma digitale [...] basata su un certificato revocato, scaduto o sospeso equivale a mancata sottoscrizione».
  • copia dell'atto oggetto di notificazione unitamente al certificato legittimante la firma digitale del Riscossore notificante, al fine di dare prova del fatto che oggetto di notificazione sia illo tempore stato il documento informatico proprio di quella cartella di pagamento richiamata e non già la mera scansione dell'atto cartaceo, nei termini sopra passati in disamina.

Pertanto, qualora in seno al fascicolo processuale sia assente anche uno solo dei documenti de quibus, come avvenuto nella fattispecie sottoposta alle cure dei Giudici della C.T.P. di Roma, le doglianze avanzate dal ricorrente in punto di mancata notificazione dell'atto presupposto non potrebbero che trovare accoglimento, proprio in quanto «...la validità della notifica a mezzo PEC è attestata rispettivamente dalla ricevuta dell'accettazione e da quella dell'avvenuta consegna [...] documenti idonei a comprovare l'avvenuta ricezione della cartella esattoriale notificata via Pec»[16].

Ma vi è un ulteriore aspetto di pregnante importanza, su cui è d'uopo indugiare, alla luce di quanto statuito nel decisum in commento.

Difatti, l'attento Collegio di merito si sofferma, altresì, sulla natura delle copie cartacee delle prefate ricevute versate agli atti dall'ente riscossore, facendo rilevare come le stampe de quibus, in quanto prive di qualsivoglia "attestazione di conformità all'originale", assumono la valenza di «semplici fogli di carta dei quali non è possibile in alcun modo riconoscere l'origine», in quanto le stesse «ben potrebbero esser artatamente create attraverso programmi di redazione di testo oppure di fotoritocco».

A ben guardare, i Decidenti di prima istanza hanno rettamente applicato quanto in subiecta materia prescritto dall'art. 23 - D. Lgs. n. 82/2005, norma rubricata "Copie analogiche di documenti informatici", il cui comma primo prevede che «Le copie su supporto analogico di documento informatico, anche sottoscritto con firma elettronica avanzata, qualificata o digitale, hanno la stessa efficacia probatoria dell'originale da cui sono tratte se la loro conformità all'originale in tutte le sue componenti è attestata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato»[17].

Sicché, ben si comprende la ratio decidendi enucleata in seno al pronunciamento oggetto di disamina, fondata sul seguente sillogismo:

  • l'Agente della Riscossione ha prodotto in giudizio una mera stampa cartacea della "ricevuta di avvenuta consegna" rilasciata dal gestore in formato digitale, sprovvista di qualsivoglia attestazione di conformità all'originale;
  • invero, la copia analogica de qua possiederà la stessa efficacia probatoria dell'originale in formato digitale, solo laddove accompagnata da apposita attestazione rilasciata da soggetto all'uopo ope legis autorizzato;
  • ergo, la documentazione versata agli atti è priva di valenza probatoria e, pertanto, tamquam non esset.

De iure condito: irresolutezze insite nella normativa, risvolti processuali in fieri e possibili profili di incostituzionalità.

Prima di concludere la presente trattazione, qualche cenno va doverosamente riservato alla articolata disciplina predisposta dall'art. 7 quater - D.L. n. 193/2016, nel testo risultante dalla conversione operata dalla Legge n. 225/2016[18], la cui stesura mal si concilia con il rilievo giuridico proprio di un istituto quale la notificazione degli atti della riscossione e della imposizione tributaria, circostanza, questa, che certamente la espone a possibili future censure di incostituzionalità. Ed ancora, si ritiene che l'applicazione a pieno regime delle disposizioni de quibus, il che avverrà a far data dall'1 luglio 2017, verosimilmente darà spazio ad una serie di contrattempi operativi, il cui palesarsi ben potrebbe dar luogo a situazioni processuali di particolare interesse.

Come già accennato, il Legislatore del 2016, al fine di confezionare una regolamentazione unitaria per la notificazione telematica dei provvedimenti tributari (sia riscossivi che impositivi), ha introdotto il corposo comma settimo all'art. 60 - D.P.R. n. 600/73 ed ha modificato il secondo comma dell'art. 26 - D.P.R. n. 602/73 che, pertanto, nel testo in vigore a far data dal 3 dicembre 2016, si limita a far rimando, in tema di notificazione a mezzo PEC delle cartelle di pagamento e degli altri atti della riscossione, a quanto prescritto dal novellato art. 60, u.c..

Ora, a parte la confermata inapplicabilità dell'art. 149 bis cod. proc. civ. su cui ci si è già precedentemente soffermati, un primo aspetto saliente della nuova normativa, è rinvenibile nell'evidente dietro front compiuto dal Legislatore (non si sa quanto voluto), laddove ha di fatto espunto l'obbligo di notificazione telematica[19] dei provvedimenti riscossivi nei confronti tanto delle imprese individuali o costituite in forma societaria, quanto dei professionisti iscritti in albi od elenchi.

A ben guardare, la nuova formulazione del menzionato comma secondo, prima di far rimando alle disposizioni portate dal mentovato art. 60, esordisce affermando che «la notifica della cartella può (e non deve, n.d.r.) essere eseguita [...] a mezzo posta elettronica certificata», alcuna distinzione ponendo tra contribuenti titolari di partita IVA e non. Parimenti, l'art. 60 in commento stabilisce che la notificazione degli atti impositivi possa (e non debba) esser effettuata via PEC nei confronti degli imprenditori e dei professionisti, all'indirizzo risultante dall'indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata (INI-PEC), nonché ai privati, all'indirizzo PEC da costoro comunicato, ma solo qualora ne facciano esplicita richiesta.

Tanto premesso, l'attenzione va comunque convogliata sulla particolare disciplina introdotta relativamente alle ipotesi in cui la notificazione telematica non vada a buon fine a causa della inattività od invalidità dell'indirizzo PEC del destinatario, ovvero perché la casella di posta di quest'ultimo risulti satura. In tal proposito, il Legislatore ha previsto che l'ufficio o l'ente riscossore - dopo aver effettuato un secondo tentativo di consegna decorsi almeno sette giorni dal primo (ma solo per il caso di casella satura) - debbano procedere «mediante deposito telematico dell'atto nell'area riservata del sito internet della società InfoCamere Scpa e pubblicazione, entro il secondo giorno successivo a quello di deposito, del relativo avviso nello stesso sito, per la durata di quindici giorni; l'ufficio inoltre dà notizia al destinatario dell'avvenuta notificazione dell'atto a mezzo di lettera raccomandata, senza ulteriori adempimenti a proprio carico». In siffatta ipotesi, prosegue la norma, per il destinatario la notifica si intende perfezionata «nel quindicesimo giorno successivo a quello della pubblicazione dell'avviso nel sito internet della società InfoCamere Scpa».

Ebbene, a parere di chi scrive, una prima lettura della disposizione normativa in commento è bastevole per ingenerare patenti dubbi di incostituzionalità della stessa, soprattutto con riferimento al principio della ragionevolezza di cui all'art. 3 della Costituzione e ad un evidente lesione del sacrosanto diritto, spettante al contribuente, di venire effettivamente a conoscenza dell'esistenza di provvedimenti lesivi della sua sfera giuridica nei suoi confronti emessi.

Ictu oculi, in caso di indisponibilità dell'indirizzo PEC per casella satura o per inattività/invalidità dello stesso, la littera legis impone l'invio al notificatario non già di una raccomandata con avviso di ricevimento, bensì di una mera lettera raccomandata, ovverosia l'espletamento di quella stessa semplice incombenza (spedizione della c.d. "comunicazione di avvenuta notifica") che il precedente comma primo del medesimo art. 60, lett. b-bis), prescrive per il caso in cui il provvedimento notificando venga consegnato a mani di persona diversa dal destinatario ma rinvenuta presso la sua abitazione[20].

Se non fosse che, nella sostanza dei fatti, la procedura prescritta dal novellato art. 60 u.c. è sine dubio equiparabile a quella disposta dal precedente comma primo - lett. e) per i casi di notificazione a contribuenti "assolutamente irreperibili"[21], dal momento che il Legislatore non ha ancorato il perfezionamento del procedimento notificatorio al momento della spedizione della "raccomandata informativa", bensì all'intervenuto decorso del termine di giorni quindici dalla data di pubblicazione dell'avviso di deposito sul sito internet della società InfoCamere Scpa, così rischiando che l'adempimento rappresentato dalla spedizione della "lettera raccomandata" assuma i connotati di mero simulacro, la cui assenza non inficerebbe in alcun modo la notificazione comunque perfezionatasi a seguito del deposito telematico.

Per cui, si ritiene che in luogo della esaminata procedura formalmente "ibrida" ma sostanzialmente similare a quella sancita per gli "assolutamente irreperibili", il Legislatore ben avrebbe dovuto invero allestire una disciplina analoga a quella prescritta dall'art. 140 cod. proc. civ. per i casi di "irreperibilità relativa"[22] [23], perciò imponendo la spedizione di una raccomandata con avviso di ricevimento (e non già di una semplice lettera raccomandata) quale indefettibile incombente ai fini del perfezionamento della procedura notificatoria, conseguentemente ritenendo eseguita la notificazione decorso un termine anche di dieci giorni dalla data della spedizione del "CAD" e non, invero, una volta spirato il termine quindicinale dal momento dell'avvenuto deposito.

Pertanto,è elevato il rischio che il provvedimento tributario si abbia per ritualmente notificato, seppur in totale estraneità del contribuente notificatario, dal momento che:

  • il perfezionamento della procedura notificatoria telematica viene ancorato al decorso del termine di giorni quindici dalla data di deposito telematico e non già dalla data di spedizione della raccomandata;
  • ad ogni modo, la norma prescrive la spedizione di una mera lettera raccomandata e non già di una raccomandata con avviso di ricevimento;
  • ergo, dall'esame congiunto dei due aspetti che precedono, se ne desume che la mancata spedizione della lettera raccomandata rappresenterebbe una mera irregolarità, posto che la notifica sarebbe da ritenersi comunque perfezionata a prescindere dall'avvenuto espletamento di tale incombente quasi "superfluo".

Ed allora, nell'attesa che venga sollevata questione di incostituzionalità o che il Legislatore intervenga al fine di porre rimedio all'ennesima gaffe normativa, rebus sic stantibus, dinnanzi a contestazioni relative alla mancata notificazione dell'atto impositivo o della riscossione, qualora si prospettino situazioni inquadrabili nella fattispecie che precede, sarà interessante scoprire come il Giudice tributario si atteggi riguardo alla eventuale mancata produzione in giudizio della prova dell'avvenuta spedizione della richiamata lettera raccomandata, senza comunque trascurare il capitale peso giuridico che andrà attribuito alle prove documentali che parte resistente dovrà fornire, sia relativamente al fatto che, alla data in cui doveva esser effettuato il tentativo di notificazione, la casella fosse satura o che l'indirizzo fosse inattivo od invalido, sia con riguardo all'avvenuto deposito telematico sul sito della Camera di Commercio.

E sul punto, ai fini delle possibili strategie processuali, giova altresì ribadire che mentre l'attestazione relativa alla invalidità/inattività dell'indirizzo od alla saturazione della casella viene rilasciata dal gestore del servizio PEC le cui attestazioni, ut supra evidenziato, non possiedono alcuna fede privilegiata, invero la certificazione relativa all'avvenuto deposito telematico farà certamente piena prova fino a querela di falso, provenendo, essa, dalla Camera di Commercio, i cui funzionari sono in possesso della qualifica di pubblici ufficiali[24].

Riflessioni conclusive

Per concludere, ci si auspica che il Legislatore possa nuovamente intervenire al fine di riportare un po' d'ordine nel mare magnum normativo creato da una schizofrenica legiferazione che, in nome della efficienza e dell'ammodernamento dell'agere amministrativo, rischia di conculcare tutele invero non comprimibili.

Ben vengano gli interventi volti a snellire ed a rendere più spedito l'espletamento del potere impositivo, purché non vengano intaccati i diritti costituzionalmente garantiti dal contribuente, in particolare quel "diritto alla difesa" positivizzato dall'art. 24 della Carta Costituzionale, il quale, in tema di notificazione degli atti tributari, trova piena incarnazione nell'art. 6 - Legge n. 212/2000, norma che esordisce perentoriamente statuendo che dev'esser assicurata «l'effettiva conoscenza da parte del contribuente degli atti a lui destinati», principio che - argomenta la Suprema Corte di Cassazione - «partecipa dei canoni di collaborazione, cooperazione e buona fede in cui trova esplicitazione l'intera logica sottesa allo statuto»[25].

Ad ogni modo, de iure condendo, ci si augura che il Giudice di merito, un po' come avvenuto nelle sentenze in commento, compia una interpretazione del nuovo istituto della notificazione telematica, nel senso più consono ai principi espressi dallo Statuto dei diritti del contribuente ed il più possibile costituzionalmente orientato, prendendo le distanze da applicazioni superficiali della normativa in discorso.

Dott. Carlo Ferrari - Dott. Piergiacomo Giusto

Note e bibliografia:

[1] Cfr. C.T.P. Savona, sent. 10.02.2017, n. 100, sentenza in commento.

[2] Cfr. C.T.P. Roma, sent. 26.01.2017, n. 1715, sentenza in commento.

[3] Cfr. C.T.P. Roma, sent. 26.01.2017, n. 1715.

[4] Cfr. C.T.P. Savona, sent. 10.02.2017, n. 100.

[5] Più precisamente, l'art. 26, comma 2 - D.P.R. n. 602/1973, nel testo in vigore dal 31 maggio 2010 al 21 ottobre 2015, expressis verbis prevedeva: «La notifica della cartella può essere eseguita, con le modalità di cui al decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, a mezzo posta elettronica certificata, all'indirizzo risultante dagli elenchi a tal fine previsti dalla legge. Tali elenchi sono consultabili, anche in via telematica, dagli agenti della riscossione. Non si applica l'articolo 149-bis del codice di procedura civile».

[6] Il novellato comma secondo, in vigore dal 22 ottobre 2015, ma le cui disposizioni trovano applicazione dall'1 giugno 2016, sì come disposto dall'art. 14, co. 2, D. Lgs. n. 159/2015, regolamentava altresì l'ipotesi di notifica da effettuare ad un indirizzo PEC non valido e attivo, disponendo che in ipotesi di tal fatta, la procedura dovesse esser espletata «mediante deposito dell'atto presso gli uffici della Camera di Commercio competente per territorio e pubblicazione del relativo avviso sul sito informatico della medesima, dandone notizia allo stesso destinatario per raccomandata con avviso di ricevimento, senza ulteriori adempimenti a carico dell'agente della riscossione. Analogamente si procede, quando la casella di posta elettronica risulta satura anche dopo un secondo tentativo di notifica, da effettuarsi decorsi almeno quindici giorni dal primo invio».

[7] Per un approfondimento sulle recenti modifiche normative, si veda, senza pretese di esaustività, M. Mecacci, Nuove forme di notificazione degli atti di accertamento e riscossione, in Corriere Tributario, n. 3/2017, pp. 175 e ss., ove l'autore, oltre a passare in disamina la novellata regolamentazione afferente alla notificazione degli atti de quibus, esprime delle perplessità sulle lacune del nuovo sistema, con particolare riguardo alle labili garanzie per il contribuente.

[8] Si vedano, in tal senso, M. Mecacci, op. cit.; A. Mastromatteo e B. Santacroce, Notifiche di avvisi di accertamento e di atti della riscossione a mezzo PEC: impulso per il rito telematico a regime?, in Il Fisco, n. 5/2017,pp. 445 e ss..

[9] La definizione di documento informatico è contenuta nell'art. 1, co. 1, lett. p) - D.Lgs. n. 82/2005, che lo individua nel «documento elettronico che contiene la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti».

[10] Trattasi del Decreto presidenziale recante "Regole tecniche in materia di formazione, trasmissione, copia, duplicazione, riproduzione e validazione temporale dei documenti informatici nonché di formazione e conservazione dei documenti informatici delle pubbliche amministrazioni ai sensi degli articoli 20, 22, 23 -bis, 23 -ter, 40, comma 1, 41, e 71, comma 1, del Codice dell'amministrazione digitale di cui al decreto legislativo n. 82 del 2005", entrato in vigore il 13 dicembre 2014.

[11] Sempre l'art. 1, co. 1, lett. i-bis) - D. Lgs. n. 82/2005, definisce la "copia informatica di documento analogico, come quel «documento informatico avente contenuto identico a quello del documento analogico da cui è tratto».

[12] In termini, C.T.P. Lecce, sent. 25.02.2016, n. 611. Idem C.T.P. Reggio Emilia, sent. 4.07.2016, n. 197. C.T.P. Foggia, sent. 10.06.2015, n. 1066.

[13] Cfr. C.T.P. Savona, sent. 10.02.2017, n. 100, sentenza in commento.

[14] L'art. 6, co. 6, lett. c) - D.M. 2/11/2005 distingue tre tipologie di "ricevuta di avvenuta consegna": a) "ricevuta completa", formata dal file "postacert.eml", contenente il messaggio originale completo di testo ed eventuali allegati, e il file "daticert.xml" che riproduce l'insieme di tutte le informazioni relative all'invio (mittente, gestore del mittente, destinatari, oggetto, data e ora dell'invio, codice identificativo del messaggio); b) "ricevuta breve", formata dal file "daticert.xml" e un estratto del messaggio originale; c) "ricevuta sintetica", composta esclusivamente dal solo file "daticert.xml".

[15] In termini, si veda Cass., sent. 21.07.2016, n. 15035.

[16] Cfr. C.T.P. Roma, sent. 26.01.2017, n. 1715, sentenza in commento.

[17] Cfr. C.T.P. Roma, sent. 26.01.2017, n. 1715.

[18] Per un approfondimento sulle recenti modifiche normative, si veda, senza pretese di esaustività, M. Mecacci, Nuove forme di notificazione degli atti di accertamento e riscossione, in Corriere Tributario, n. 3/2017, pp. 175 e ss., ove l'autore, oltre a passare in disamina la novellata regolamentazione afferente alla notificazione degli atti de quibus, esprime delle perplessità sulle lacune del nuovo sistema, con particolare riguardo alle labili garanzie per il contribuente.

[19] Siffatto obbligo era precedentemente disposto dall'art. 26, co. 2, nel testo in vigore dal 22 ottobre 2015 al 2 dicembre 2016.

[20] In ipotesi di tal fatta, secondo tetragona giurisprudenza di legittimità, opera una presunzione iuris tantum, in relazione alla quale il consegnatario viene considerato familiare od affine, incombendo sul destinatario che contesti la validità della notificazione, l'onere di fornire la prova contraria ed, in particolare, di provare l'inesistenza di un rapporto con il consegnatario o l'occasionalità della sua presenza presso l'abitazione. In termini, da ultimo, Cass., sent. 5.08.2016, n. 16499.

[21] Vale a dire per i casi in cui nel comune nel quale deve eseguirsi la notificazione non vi è abitazione, ufficio o azienda del contribuente destinatario.

[22] L'art. 140 del codice di procedura civile impone la spedizione di una raccomandata con avviso di ricevimento, la cosiddetta "Comunicazione di avvenuto deposito", contenente le prescrizioni di cui all'art. 48 disp. att. cod. proc. civ., consequenziale al deposito dell'atto notificando nella casa del comune ove la notifica deve eseguirsi, quale indefettibile incombente ai fini del perfezionamento notificatorio, ovviamente prevedendo che la notifica si ha per eseguita nel momento di ricevimento della raccomandata informativa o, comunque, decorsi dieci giorni dalla data della sua spedizione. Per un approfondimento sulla tematica, si vedano, senza pretese di esaustività, M. Bruzzone, La notifica è giuridicamente inesistente senza la "raccomandata informativa", in Corriere tributario, n. 6/2015,pp. 460 e ss.; M. Bruzzone, È incostituzionale la disciplina sulla notifica agli irreperibili, in Corriere tributario, n. 11/2010,pp. 870 e ss.; C. Glendi, La Costituzione riscrive (almeno in parte) l'art. 140 c.p.c., in GT - Riv. Giur. Trib., n. 3/2010, pag. 189.

[23] Disciplina consimile è positivizzata, per le notificazioni a mezzo del servizio postale, dall'art. 8 - Legge n. 890/1982.

[24] In termini, ex multis, Cass., sez. V, sent. 13.01.2015, n. 1205.

[25] In termini, Cass., sent. 16.03.2011, n. 6114.