Corte Cost., Sent. 31.01.2023, n. 10
Costituzionalmente legittima la presunzione sui prelevamenti da parte dei piccoli imprenditori ... con spiragli di apertura
"Il giudice a quo appunta, invece, i suoi rilievi solo in riferimento ai prelevamenti ingiustificati, risultanti dai conti bancari dello stesso contribuente. In tale fattispecie - che è oggetto del giudizio principale - la presunzione legale è in realtà duplice: i prelievi dal conto corrente, in mancanza di prova contraria, fanno presumere che essi siano stati utilizzati nell'esercizio dell'attività d'impresa per sostenere costi occulti; questi ultimi, a loro volta, si presume che abbiano generato ricavi non contabilizzati, che quindi sono calcolati in aumento nella determinazione del reddito imponibile [...] Sulla scia di questa giurisprudenza deve, ora, ribadirsi ulteriormente, per un verso, la non manifesta irragionevolezza della «doppia presunzione» che dai prelevamenti bancari ingiustificati, eseguiti dall'imprenditore, inferisce costi e ricavi occulti e pertanto reddito imponibile, oggetto di rettifica e di accertamento da parte del fisco; presunzione che si iscrive nel più ampio contesto della normativa sulla tracciabilità dei movimenti finanziari e sulla regolamentazione limitativa della circolazione del danaro contante al fine di contrastare l'evasione o l'elusione fiscale. Per altro verso, va ribadito che l'interpretazione adeguatrice, orientata alla conformità ai parametri suddetti, richiede che il contribuente imprenditore possa sempre articolare la prova contraria presuntiva e, in particolare, eccepire la «incidenza percentuale dei costi relativi, che vanno, dunque, detratti dall'ammontare dei prelievi non giustificati» (sentenza n. 225 del 2005) affinché la presunzione in esame risulti compatibile anche con il principio di capacità contributiva (art. 53, primo comma, Cost.) [...] Costituendo la presunzione legale una rilevante eccezione al principio del libero apprezzamento delle prove da parte del giudice e alla regola dell'onere della prova, non è ipotizzabile che, in mancanza di un'espressa previsione del legislatore e per via interpretativa, si predichi una limitazione del principio di libertà delle prove, ritenendo che la prova contraria a una presunzione legale non possa essere costituita da una presunzione semplice [...] Del resto la specificità del processo tributario, quanto al regime delle prove, comporta solo la non ammissibilità del giuramento, mentre la prova testimoniale è ora ammessa, ove necessaria ai fini del decidere. Comunque il giudice tributario potrà e dovrà far uso dei poteri riconosciutigli dal comma 1 dell'art. 7 del decreto legislativo n. 546 del 1992, in un contesto processuale di pienezza del contradditorio e di parità delle armi, quale proiezione del canone del giusto processo [...] Più in particolare, occorre considerare che, nella fattispecie concreta che ha dato luogo alla più volte richiamata sentenza n. 225 del 2005, veniva in rilievo un accertamento induttivo cosiddetto "puro" o extracontabile, fondato su indagini bancarie. Gli uffici finanziari hanno la facoltà di procedere all'accertamento induttivo in senso stretto (o "puro") se la contabilità dell'impresa è complessivamente inattendibile ovvero se ricorrono gli altri presupposti indicati dall'art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973. In queste ipotesi, l'amministrazione finanziaria può esercitare una serie di facoltà istruttorie ulteriori rispetto a quelle ordinarie. Proprio l'impossibilità di una ricostruzione complessiva della contabilità ha da tempo indotto la giurisprudenza di legittimità ad affermare il principio - cui ha fatto riferimento questa Corte nella sentenza n. 225 del 2005 - secondo il quale, nell'ipotesi di accertamento induttivo "puro", deve riconoscersi la deduzione dei costi di produzione, determinata anche in misura percentuale forfettaria. E anzi, nel caso di accertamento induttivo "puro", è lo stesso ufficio finanziario ad essere onerato di determinare induttivamente non solo i ricavi, ma anche i corrispondenti costi. Invece, la fattispecie che ha originato l'odierno incidente di legittimità costituzionale riguarda - per quanto può desumersi dall'ordinanza di rimessione - un accertamento analitico-contabile. Quest'ultima forma di accertamento si caratterizza per la rettifica di singole componenti del reddito dichiarato e può derivare dal confronto tra la dichiarazione e le scritture contabili (il bilancio, in particolare), e dall'esame della documentazione posta a fondamento della contabilità, come, per l'appunto, le risultanze delle movimentazioni bancarie. Presupposto dell'utilizzo del metodo analitico o "misto" è l'attendibilità complessiva della contabilità, che consente la rettifica di singole componenti reddituali: in sostanza, la determinazione del reddito è compiuta nell'ambito delle risultanze della contabilità, ma con una ricostruzione induttiva di singoli elementi attivi o passivi, dei quali risulta provata aliunde la mancanza o l'inesattezza. Proprio la presenza di una contabilità generalmente attendibile, e una ripresa a tassazione che si realizza mediante rettifiche di singole "poste" della stessa, implica che ai fini della deduzione dei costi, operi in generale la regola ritraibile dall'art. 109 t.u. imposte redditi, in forza della quale, se gli stessi non sono presenti nel conto economico, possono essere dedotti solo se risultano da elementi certi e precisi, dei quali l'onere della prova è a carico del contribuente. Ed è vero - come riferisce il giudice rimettente - che talvolta questa puntualizzazione è stata fatta dalla giurisprudenza anche quando l'accertamento analitico-contabile si fonda su indagini bancarie, e, in particolare, nell'ipotesi di accertamento di maggiori ricavi da parte degli uffici finanziari attraverso il duplice meccanismo inferenziale in contestazione, per il quale a un prelievo non giustificato sul conto corrente dell'imprenditore commerciale corrisponderebbe un costo occulto, che, a propria volta, andrebbe a produrre un ricavo parimenti occulto. Tuttavia si tratta di un orientamento che non può essere considerato espressione di un diritto vivente perché relativo a casi limitati, in mancanza peraltro di un intervento delle Sezioni unite sulla questione ai sensi dell'art. 374 cod. proc. civ. [...] dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 32, primo comma, numero 2), del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), sollevate in via principale, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Arezzo".