Corte Cost., Sent. 17.03.2023, n.46

17.03.2023

Determinazione delle sanzioni proporzionale alla condotta del contribuente. 

La CTP dubita della legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1, primo periodo, del d.lgs. n. 471 del 1997, sotto un primo profilo, con riferimento all'art. 3 Cost., con riguardo ai principi di eguaglianza, proporzionalità e ragionevolezza nella parte in cui prevede che, ove all'omessa presentazione della dichiarazione dei redditi faccia comunque seguito, prima della ricezione dell'avviso di accertamento, il versamento spontaneo dell'imposta, la sanzione dal centoventi al duecentoquaranta per cento si applichi sull'intero ammontare di tutte le imposte dovute sulla base della dichiarazione omessa, anziché solo sull'importo residuo delle imposte da versare da parte del contribuente. Dovrebbe, infatti, rimanere ben distinta l'offensività della condotta di chi omette la presentazione della dichiarazione al fine di evadere il pagamento delle imposte da quella di chi, pur avendo omesso la presentazione della dichiarazione dei redditi, paga spontaneamente le imposte pur senza un previo accertamento fiscale. Invece, la sanzione prevista dall'art. 1, comma 1, primo periodo, del d.lgs. n. 471 del 1997 colpisce indiscriminatamente, senza alcun riguardo all'entità oggettiva e soggettiva della violazione commessa, sottoponendo così al medesimo trattamento condotte fra loro diverse e aventi conseguenze diverse. In altri termini la suddetta previsione normativa ancorerebbe la sanzione al criterio meramente formale ed estrinseco della omessa presentazione della dichiarazione fiscale, invece che a quello sostanziale dell'ostacolo all'accertamento e della evasione del pagamento dell'imposta. [...]

Nel merito le questioni di legittimità costituzionale sollevate sul primo periodo dell'art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 471 del 1997, in riferimento all'art. 3 Cost. sotto il profilo della violazione dei principi di eguaglianza, proporzionalità e ragionevolezza non sono fondate, nei termini di cui in motivazione. Con tali questioni il rimettente pone in discussione una sanzione che ritiene eccessivamente afflittiva, anche nel minimo edittale, in riferimento a un comportamento del contribuente quale quello risultante dal giudizio a quo. Di qui la richiesta a questa Corte di una sentenza sostitutiva, volta a commisurare la sanzione solo sull'«importo residuo delle imposte da versare da parte del contribuente», anziché sull'ammontare «di tutte le imposte dovute sulla base della dichiarazione omessa». Al riguardo, va innanzitutto premesso che un sistema di fiscalità di massa poggia sull'architrave dell'autoliquidazione delle imposte, cui deve corrispondere, nell'ambito dell'imposta sui redditi, la fedele compilazione e la tempestiva presentazione della dichiarazione, che costituisce uno degli atti più importanti nell'ambito della disciplina attuativa di tale imposta.  Tramite la dichiarazione dei redditi il contribuente è pertanto chiamato a collaborare con l'amministrazione finanziaria, esponendosi quindi ai relativi controlli. Tale dichiarazione ha, infatti, una rilevanza procedimentale: consente all'Agenzia delle entrate, innanzitutto, di attivare i controlli automatizzati e formali, di cui, rispettivamente, agli artt. 36-bis e 36-ter del d.P.R. n. 600 del 1973; condiziona poi l'accertamento e determina, in particolare, i metodi di rettifica del reddito dichiarato. In tal modo la presentazione della dichiarazione agevola le attività dell'amministrazione finanziaria, che dovrà invece ricorrere ad altri e più impegnativi strumenti nei confronti di quei contribuenti che, non assumendo tale atteggiamento collaborativo, presumibilmente sono orientati a sottrarsi totalmente al versamento delle imposte dovute. In caso di omessa presentazione della dichiarazione dei redditi, infatti, l'Agenzia delle entrate può anche procedere, ai sensi dell'art. 41 del d.P.R. n. 600 del 1973, all'accertamento d'ufficio, di carattere induttivo. Ma resta fermo che questa attività di accertamento implica un impegno ben superiore, in termini di risorse umane, rispetto a quello normalmente richiesto per l'effettuazione degli altri controlli, e in particolare di quelli automatizzati e formali.

Ciò precisato, il problema della ragionevolezza e proporzionalità della sanzione in questione, sollevato dal rimettente, non può ritenersi sic et simpliciter superato. Emblematica, al riguardo, è la fattispecie del giudizio a quo, dove si è in presenza di un contribuente che sì ha omesso di presentare la dichiarazione dei redditi relativa al regime fiscale del consolidato, ma, da un lato, ha tempestivamente presentato la propria dichiarazione, in tal modo esponendosi inequivocabilmente ai controlli dell'Agenzia delle entrate, e, dall'altro, ha comunque interamente versato, sebbene in ritardo, ma prima di aver ricevuto qualsivoglia avviso di accertamento, le imposte dovute. La circostanza che, nonostante il comportamento tenuto, tale contribuente, per effetto dell'applicazione del minimo edittale, debba versare una cifra maggiore dell'imposta già versata evidenzia, più in generale, che nella fattispecie sanzionatoria censurata può venir meno, in determinate situazioni, un rapporto di congruità tra il concreto disvalore dei fatti e la misura della sanzione.

La soluzione auspicata dal rimettente non può, tuttavia, essere accolta, in quanto depotenzierebbe gravemente l'effetto deterrente che deve presidiare, per quanto prima detto, la corretta presentazione della dichiarazione dei redditi. Infatti, tale soluzione porterebbe, addirittura, al risultato estremo che nessuna sanzione sarebbe irrogata ogni qualvolta il contribuente, pur avendo omesso di presentare la dichiarazione, abbia comunque effettuato, anche dopo anni dalla scadenza dei termini stabiliti, l'integrale pagamento delle imposte dovute. È invece possibile una lettura sistematica della norma censurata in correlazione con un'interpretazione conforme a Costituzione dell'art. 7 del d.lgs. n. 472 del 1997. Tale soluzione, senza minare in radice l'effetto deterrente, è in grado di ricondurre entro i limiti della proporzionalità e della ragionevolezza la sanzione prevista dalla norma censurata in riferimento a situazioni come quella del giudizio a quo.

Occorre quindi che, come del resto da tempo auspicato dalla dottrina, il comma 4 non venga letto atomisticamente, ma in rapporto con il comma 1 dell'art.7 del d.lgs. 472/1997: il perimetro di applicazione del comma 4 viene dilatato, considerando tra le circostanze che possono determinare la riduzione fino al dimezzamento della sanzione, e in particolare la condotta dell'agente e l'opera da lui svolta per l'eliminazione o l'attenuazione delle consegne. 

Valorizzato in questi termini, alla luce di una interpretazione costituzionalmente orientata, che fornisce maggiore chiarezza ai criteri di determinazione delle sanzioni in esso stabiliti, l'art. 7, comma 4, del d.lgs. n.472 del 1997 si pone come una opportuna valvola di decompressione che è atta a mitigare l'applicazione di sanzioni, come quella stabilita dalla norma censurata, che, strutturate per garantire un forte effetto deterrente al fine di evitare evasioni anche totali delle imposte, tendono a divenire draconiane quando colpiscono contribuenti che invece tale intento chiaramente non rivelano. Peraltro, la riduzione nei sensi indicati ben può essere operata già da parte dell'Agenzia delle entrate, poiché questa spesso dispone, fin dal momento della irrogazione della sanzione, degli elementi di valutazione utili al riguardo. In ogni caso ad essa potrà ricorrere il giudice nell'ambito del contenzioso, anche a prescindere da una formale istanza di parte, ogni qualvolta sia stato articolato un motivo di impugnazione sulla debenza o sull'entità delle sanzioni irrogate e risultino allegate circostanze tali da consentirlo.