Cass., Ord. 24.03.2023, n.8475
Il termine di prescrizione decorre dall'esposizione di un credito d'imposta nella dichiarazione dei redditi.
"Le Sezioni Unite, investite della risoluzione del contrasto di giurisprudenza sul momento di decorrenza del termine di prescrizione di cui all'art. 2946 cod. civ., hanno enunciato il principio secondo cui qualora il contribuente abbia evidenziato nella dichiarazione un credito d'imposta, non trova applicazione, ai fini del rimborso del relativo importo, il termine di decadenza previsto dall'art. 38 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, non occorrendo la presentazione di un'apposita istanza, in quanto l'Amministrazione, resa edotta con la dichiarazione dei conteggi effettuati dal contribuente, è posta in condizione di conoscere la pretesa creditoria. [...] La premessa del ragionamento svolto dalle Sezioni unite risiede nella considerazione che l'esposizione di un credito d'imposta nella denuncia dei redditi costituisce istanza di rimborso, soddisfacendo essa medesima la condizione posta dall'art. 38 d.P.R. n. 602 del 1973 per evitare la decadenza del credito: di conseguenza, non è applicabile il termine di decadenza previsto dall'art. 38 cit., ma trova applicazione il termine di prescrizione ordinario, che decorre dalla data di esposizione del credito in dichiarazione. [...]
Invero, molte di esse si limitano a riportare incidentalmente il principio di massima della sentenza delle Sezioni Unite in occasione dell'esame di questioni di diversa natura. Nessuna delle pronunce citate si confronta con l'ordinanza della Corte costituzionale n.112 del 29 maggio 2013, successiva alla sentenza delle Sezioni Unite, da cui origina l'orientamento giurisprudenziale sopra indicato.
Sebbene tale ordinanza non sia vincolante né per i giudici di merito, né per la funzione di nomofilachia attribuita alla Corte di cassazione, tuttavia, non può non rilevarsi che essa presuppone un'interpretazione normativa affatto diversa rispetto a quella data dalle Sezioni Unite nella esaminata pronuncia. Ciò in quanto, secondo la Corte, in ragione del tenore letterale della disposizione non era possibile una diversa interpretazione, conforme a Costituzione, che la mettesse al riparo dal sospetto di illegittimità costituzionale, in quanto essa prevedeva che l'amministrazione dovesse provvedere all'erogazione degli indicati crediti d'imposta senza avvalersi della prescrizione. Inoltre, la Corte costituzionale, ha precisato che la norma - priva di carattere retroattivo, in quanto conforma l'agire processuale dell'amministrazione dalla sua entrata in vigore - è espressione delle scelte discrezionali che competono al legislatore nella disciplina degli istituti processuali con il solo limite della loro non manifesta irragionevolezza. [...]
Il successivo orientamento della sezione tributaria, che si è conformato a detto principio, facendone, come innanzi rilevato, la ratio decidendi di plurime pronunce, non affronta sempre in modo diretto la questione sulla portata precettiva della norma, limitandosi a richiamare il principio enunciato dalle Sezioni Unite, senza verificarne la tenuta alla stregua della successiva pronuncia della Corte costituzionale.
Fin dai lavori preparatori la disposizione in esame appare finalizzata a tutelare l'affidamento del contribuente sulla correttezza e tempestività dell'amministrazione tributaria nell'effettuare la restituzione dell'imposta corrisposta in eccedenza e, dunque, oltre i limiti delineati dal principio di capacità contributiva di cui all'art.53 Cost.
Si tratta di un interesse del contribuente, la cui tutela è sicuramente coerente con i principi generali dell'ordinamento giuridico, in particolare con il principio di capacità contributiva e di buon andamento della pubblica amministrazione sancito dall'art.97 Cost., di cui la mancata restituzione delle somme non dovute costituisce una palese violazione. Interesse riconosciuto anche nell'esaminata sentenza delle Sezioni Unite, che, nella motivazione, pone in rilievo la necessaria relazione tra gli esiti del controllo cartolare o formale delle dichiarazioni ed il dovere degli uffici finanziari di procedere (oltre che alla liquidazione delle somme dovute) ai rimborsi eventualmente spettanti al contribuente.
Ritiene il Collegio che, alla luce delle argomentazioni poste a base dell'ordinanza n.112/2013 della Corte costituzionale, successiva alla sentenza della Sezioni Unite, alla quale si ricollega l'orientamento giurisprudenziale di legittimità sopra richiamato, sia opportuno, per la rilevanza della questione, idonea a riproporsi in futuri giudizi, un nuovo intervento nomofilattico chiarificatore sulla specifica questione della valenza precettiva o meno dell'art.2, comma 58, della legge 24 dicembre 2003, n.350."