C.G.T. II grado Milano, Sent. 08.01.2024, n. 44

02.05.2024

L'onere della prova dell'esistenza di una frode, o della mancata diligenza qualificata nella scelta della controparte commerciale, spetta sempre all'Agenzia delle Entrate.

"L'appellante ufficio, dopo aver ulteriormente richiamato, non sempre appropriatamente, alcuni arresti della Cassazione, basati sui superiori principi, perviene alla conclusione che sebbene la giurisprudenza nazionale e comunitaria si sia formata soprattutto in tema di frodi si deve ritenere che il principio enucleato dai giudici sovranazionali e nazionali trovi applicazione in tutte le ipotesi in cui un soggetto si trovi coinvolto in operazioni di evasione sistematica dell' iva che, come nel caso in esame coincidono assolutamente, quantomeno per quel che concerne il profilo oggettivo, con parte di quelle che sono le più gravi forme di frodi iva e sulle ritenute previdenziali. La tesi della equiparazione delle due fattispecie evasive (la fraudolenta e quella relativa all'omesso versamento), non può essere condivisa da questa Corte, in particolare, laddove l'Ufficio sostiene che la compressione del diritto alla detrazione possa esercitarsi, oltre che nel caso in cui il diritto venga invocato fraudolentemente, anche in tutte le ipotesi in cui un soggetto si trovi coinvolto in operazioni di evasione sistematica dell' iva, ancorché limitata al mancato versamento, in quanto le due fattispecie coinciderebbero quantomeno per quel che concerne il profilo oggettivo.

Orbene, la compressione del diritto alla detrazione costituisce, anche secondo la giurisprudenza europea richiamata dall'appellante, una "forzatura" del sistema, giustificabile eccezionalmente e solo al fine di "garantire il raggiungimento del superiore obiettivo di repressione delle frodi previsto dalla Direttiva europea in materia di IVA". Tuttavia, pur a voler superare il profilo "oggettivista" che attribuiva rilevanza unicamente all'esistenza dell'operazione ed al rispetto degli adempimenti formali, attribuendo esclusivamente rilevanza al profilo soggettivo, quantomeno, l'Ufficio avrebbe dovuto fornire la prova (a maggior ragione dopo le modifiche introdotte dalla L. n. 130 del 2022, che ha previsto l' inserimento del comma 5 bis nell'art. 7 del D.Lgs. n. 546 del 1992, in virtù del quale l'amministrazione finanziaria ha l'onere di provare in giudizio le violazioni contestate, dimostrando, in modo circostanziato e puntuale, le ragioni oggettive su cui si fonda la pretesa impositiva e l' irrogazione delle sanzioni), sia che il soggetto passivo conoscesse o potesse conoscere "l'esistenza di una frode a monte o a valle dell'operazione dallo stesso posta in essere", sia dell'assenza della buona fede del soggetto cui la legge attribuisce il diritto alla detrazione, costituendo quest'ultima, fattore imprescindibile per essere chiamato a rispondere di condotte evasive o fraudolente di terzi mediante la negazione del diritto alla detrazione dell'IVA assolta sugli acquisti.

Ad avviso di questa Corte, quindi, l'omesso versamento di un tributo regolarmente dichiarato, non può mai integrare la sussistenza di una fattispecie fraudolenta.

L'Ufficio, infatti, anche per effetto della pluralità di adempimenti informatici (fatture elettroniche, liquidazione periodiche trimestrali, dichiarazione annuale) cui è obbligato il contribuente -e che nel caso di specie sono stati posti in essere regolarmente come ammesso dallo stesso ufficio- ha la possibilità di acquisire in tempo quasi reale la conoscenza degli eventuali inadempimenti e procedere con immediatezza al recupero dell'imposta non versata. Assumere, pertanto, che tali violazioni possano essere equiparate alle evasioni per omissioni dichiarative o peggio alle evasioni fraudolenti, senza fornire alcuna credibile prova in merito, se non generiche affermazioni di principio, dimostra che la pretesa erariale, contenuta nell'atto oggetto di contenzioso, sia del tutto illegittima, oltre che infondata.

L'Ufficio, nel caso di specie, non fornisce alcuna prova né della circostanza che il contribuente sia, o possa essere, a conoscenza di una frode, né del meccanismo giuridico in base al quale possano essere equiparate alla frode le fattispecie in cui un soggetto sia controparte di operazioni di evasione sistematica dell' iva da parte di fornitori, tenuto conto che la riserva di legge, prevista dall'art. 23 della Costituzione, preclude una interpretazione analogica delle norme tributarie. Soprattutto, l'Ufficio non produce alcuna prova della mancanza di buona fede da parte del contribuente e ciò inficia tutto l'impianto giuridico che sorregge la pretesa fiscale. Infatti -come sostenuto dalla giurisprudenza richiamata dall'Ufficio- nessuno può "essere chiamato a rispondere di condotte evasive o fraudolente di terzi mediante la negazione del diritto alla detrazione dell'IVA assolta sugli acquisti", qualora non sia previamente dimostrata l'assenza di buona fede.

Di contro, il contribuente ha fornito prova -attuando una sorta di inversione della stessa- di avere posto in essere tutta una serie di controlli sulla "affidabilità" delle controparti che, ancorché non previsti obbligatoriamente dalle norme di legge e tanto più dall'ordinamento tributario, erano stati volontariamente codificati nelle proprie policy aziendali.

In particolare, la società ha dato prova di aver posto in essere un comportamento " improntato alla massima cautela e diligenza, come risulta dai controlli effettuati (da cui emerge che i fornitori presentavano una situazione contributiva ed assicurativa regolare, nelle indagini sulla affidabilità economica e finanziaria tramite C./D.B. dalle quali risultano punteggi di affidabilità in linea con la media nazionale, nell'adozione di una adeguata policy aziendale nei rapporti con i fornitori)", come peraltro riconosciuto dallo stesso Ufficio.

In conclusione, oltre che illegittima, appare paradossale sia la pretesa dell'Ufficio di imputare alla Società una condotta negligente, per aver omesso di rilevare delle irregolarità fiscali, limitate alla fase della riscossione del tributo, laddove le stesse erano già note all'Amministrazione finanziaria, sia la pretesa di obbligare la Società contribuente a non intrattenere rapporti commerciali con fornitori ai quali, peraltro, la stessa Amministrazione finanziaria permette di svolgere la propria attività, pur in presenza di tributi dichiarati e non versati, non attivando gli strumenti cautelari previsti dalle norme a tutela del gettito."