Legittimazione processuale del socio di società di capitali estinte

05.03.2018

Pubblicato su GT - Rivista di Giurisprudenza Tributaria, n. 3/2018

Incipit

Con sentenza 27 aprile 2018, n. 10266, il Plenumdella Suprema Corte è intervenuto al fine di dirimere un recente contrasto giurisprudenziale generatosi in materia di processo civile telematico, avente ad oggetto la scelta alternativa tra l'atto processuale sottoscritto con firma PAdES e quello firmato con l'estensione CAdES[1], chiarendo perciò se quest'ultima sola andasse considerata quale requisito formale indispensabile al raggiungimento dello scopo, altresì fornendo lumi sulla possibile applicabilità in fattispecie del principio della sanatoria di cui al comma 3 dell'art. 156 c.p.c.

Ebbene, il Collegio di legittimità, pronunziatosi in Adunanza Plenaria, a conclusione di una puntuale disamina della normativa euro-unitaria in vigore sul punto, nonché di quella domestica, ha sancito, com'era predicibile, la equipollenza tra le due tipologie di firma digitale, fissandola nel seguente lineare principio di diritto: "Secondo il diritto dell'UE e le norme, anche tecniche, di diritto interno, le firme digitali di tipo CAdES e PAdES, sono entrambe ammesse ed equivalenti, sia pure con le differenti estensioni <*.p7m> e <*.pdf>, e devono, quindi, essere riconosciute valide ed efficaci, anche nel processo civile di cassazione, senza eccezione alcuna".

Ora, sebbene il decisum tragga genesi da una antinomia concernente la forma degli atti del processo civile telematico, è indubbio che gli approdi a cui è pervenuto il Consesso di ultima istanza siano fonte di interessanti spunti di riflessione involgenti la notificazione a mezzo PEC dei provvedimenti sostanziali tributari, nonché l'infante processo tributario telematico.

La notificazione telematica degli atti esattivi ed impositivi, alla luce del principio di diritto sancito dalle Sezioni Unite

Un primo, inevitabile, punto di domanda, sorto all'indomani del deposito della pronuncia in oggetto, riguarda l'effetto che il principio di diritto de quo potrà avere su quell'orientamento sempre più diffuso presso le Commissioni tributarie, secondo cui è da ritenersi giuridicamente inesistente la notificazione a mezzo PEC della cartella di pagamento, ove il documento oggetto di trasmissione rechi il semplice formato <*.pdf>, in luogo di quell'estensione <*.p7m> dai giudici di merito sbrigativamente ritenuta unica garanzia dell'avvenuta apposizione della firma digitale e, pertanto, della integrità ed immodificabilità del documento informatico, nonché dell'identificabilità dell'autore del provvedimento e della paternità dello stesso[2].

Il siffatto orientamento di merito trova origine dalla interpretazione di quanto de lege lata prescritto in materia di notificazione degli atti tributari di natura sostanziale, ed in particolar modo dalla inapplicabilità, in subiecta materia, dell'art. 149-bis c.p.c., oggi sancita dall'art. 60, comma 7, D.P.R. n. 600/1973[3], da cui deriva che l'Esattore o l'Amministrazione finanziaria possono sì notificare telematicamente il provvedimento, purché l'invio abbia ad oggetto il documento informatico sottoscritto con firma digitale e non già una mera copia informatica (c.d. scansione) del documento precedentemente emesso in originale cartaceo (facoltà, questa, riconosciuta esclusivamente all'ufficiale giudiziario, per le notificazioni espletate ai sensi del mentovato art. 149-bis, tuttavia, si ribadisce, non applicabile agli atti tributari).

Senza più di tanto indugiare sulla ratio legis[4] alla base della richiamata disposizione, per quanto in questa sede rileva è sufficiente porre l'accento sul fatto che, dall'obbligo di notificazione del documento informatico (e non della semplice scansione) sancito dal summenzionato art. 60, comma 7, discende de plano la indefettibilità della firma digitale sull'atto notificando, sì come ribaditodal novellato art. 20[5], D.Lgs. n. 82/2005, rubricato "Validità ed efficacia probatoria dei documenti informatici" - il testo del cui comma 1-bis, in vigore dal 27 gennaio 2018, recita: "Il documento informatico soddisfa il requisito della forma scritta e ha l'efficacia prevista dall'art. 2702 del Codice civile quando vi è apposta una firma digitale..." - nonché dall'art. 3, comma 4, D.P.C.M. 13 novembre 2014[6], il quale prevede che "le caratteristiche di immodificabilità e di integrità (del documento informatico, N.d.R.) sono determinate [...] dalla sottoscrizione con firma digitale".

Inoltre, a completamento del quadro normativo volto a definire la figura del documento informatico a cui fa riferimento il richiamato art. 60, non può non farsi cenno all'art. 48, comma 2, del C.A.D., il quale equipara la trasmissione a mezzo PEC del documento informatico (e non già di una semplice scansione) alla notificazione tramite posta raccomandata.

Ergo, l'apposizione della firma digitale non può che assurgere a condicio sine qua non per la esistenza stessa del documento informatico contenente il provvedimento esattivo od impositivo oggetto di notifica e, pertanto, per il perfezionamento della siffatta procedura.

Orbene, il principio di diritto fissato dal Plenum della Suprema Corte fuga al contempo ogni dubitanza in ordine all'obbligo ope legis di apposizione della firma digitale sull'originale informatico dell'atto tributario notificato a mezzo PEC, nonché risolutivamente a riconoscere, ammesso che ce ne fosse realmente necessità[7], la piena equipollenza tra le due diverse tipologie di firma digitale, ovverosia quella di tipo CAdES e quella di tipo PAdES, sostanzialmente sancendo che l'obbligo di cui sopra potrà ritenersi assolto a prescindere dalla modalità di sottoscrizione telematica a cui il notificante ha inteso far ricorso.

Del resto, secondo quanto rettamente argomentato dai giudici di legittimità, il diritto euro-unitario e, più precisamente gli artt. 27 e 37 del Reg. UE 910/2014 e le specifiche attuative di cui all'art. 1 della Decisione di esecuzione UE n. 2015/1506 della Commissione Europea dell'8 settembre 2015, inequivocabilmente prescrivono agli Stati membri, che impongano l'uso di una firma elettronica o digitale sulla base di un certificato qualificato, di riconoscere indifferentemente come tali quelle con standard PAdES, CAdES e XAdES.

Dunque, considerata la piena e diretta applicabilità dei Regolamenti UE negli ordinamenti interni a ciascuno degli Stati membri, di cui il giudice nazionale è assoluto garante, era inevitabile che l'attività ermeneutica dei Decidenti di legittimità fosse indirizzata verso una interpretazione euro-unitariamente orientata delle disposizioni domestiche afferenti alla digitalizzazione della Pubblica amministrazione e che, perciò, i Supremi giudici addivenissero alla conclusione, specifica per la quaestio iurisad essi sottoposta, secondo cui l'obbligo di sottoscrizione telematica dell'atto processual-civilistico debba ritenersi adempiuto laddove tale firma vi sia stata apposta, indipendentemente dal fatto ch'essa rechi il formato CAdES, piuttosto che quello PAdES.

Mutatis mutandis, alla luce della sopra richiamata disciplina afferente alla notificazione degli atti tributari sostanziali, è fuor di dubbio che il prefato principio di diritto debba trovare applicazione anche in subiecta materia e che, pertanto, quel silenzio del C.A.D. in ordine alla tipologia di firma digitale da apporre sul documento informatico, quale condizione d'esistenza del medesimo, debba pacificamente intendersi colmato dai precetti sanciti dal diritto dell'Unione, scaturendone che la notificazione a mezzo PEC del provvedimento dell'imposizione o dell'esazione fiscale potrà ritenersi perfetta solo laddove il documento telematicamente trasmesso sia stato firmato digitalmente - a prescindere dalla tipologia di sottoscrizione utilizzata (indifferentemente di tipo CAdES o PAdES) - determinandosi, in caso contrario, una ipotesi di inesistenza giuridica della notificazione.

Ed allora, se da un lato il principio de quo assume un evidente effetto corroborante rispetto al motivo di ricorso concernente la illegittimità della notificazione telematica avente ad oggetto la semplice scansione del documento non firmato digitalmente, dall'altro esso ha definitivamente messo a nudo una comunque evidente deriva della giurisprudenza di merito, la quale, nell'ultimo triennio, pur avendo mostrato un'apprezzabile sensibilità nei confronti della questione in esame, ha tuttavia risolto la faccenda, forse troppo sbrigativamente, sulla base della equazione "atto recante estensione *.p7m = documento firmato digitalmente", sì addivenendo ad una interpretazione dell'ordinamento domestico non conforme al diritto dell'Unione.

Conseguentemente, sulla scorta della statuizione delle Sezioni Unite, è auspicabile una virata verso la giusta rotta da parte di tutte le Corti di merito, sia di quelle che superficialmente hanno superato la contestazione de qua in nome di un anacronistico "raggiungimento dello scopo" - invero certamente non operante in fattispecie, ove l'assenza di firma digitale mina in radice l'essenza stessa dell'atto notificando - sia di quelle che, pur mostrandosi più attente dinnanzi alla predetta contestazione, non si sono tuttavia mantenute entro il confine delimitato dal Regolamento UE, pronunziando la nullità della cartella notificata a mezzo PEC per il sol fatto che essa fosse sprovvista dell'estensione *.p7m, quando invero l'assenza della stessa non necessariamente implica che il documento sia privo di firma telematica, ben potendo trattarsi di sottoscrizione in formato PAdES che, come già accennato, non modifica l'estensione del file notificando.

È indubbio che, dinnanzi all'eventuale motivo di ricorso sul punto sollevato dal contribuente, incomberà sulla parte resistente l'onere di fornire in giudizio idonea prova del fatto che oggetto di trasmissione telematica sia stato l'originale informatico del provvedimento tributario firmato digitalmente, mediante una delle due tipologie di firma di cui s'è sin qui discusso.

Le copie analogiche delle ricevute di "accettazione" e di "avvenuta consegna" dell'atto notificato a mezzo pec

La lettura delle argomentazioni addotte dai Supremi giudici è comunque foriera di ulteriori spunti di riflessione applicabili alla materia tributaria.

Un altro passaggio interessante su cui è opportuno brevemente soffermarsi è rinvenibile nel punto in cui i Decidenti di legittimità dogmaticamente ribadiscono che l'avvocato, in qualità di pubblico ufficiale in seno al processo, ha il potere di attestare la conformità agli originali delle copie cartacee delle ricevute di "accettazione" ed "avvenuta consegna" depositate in atti, sì conferendo ad esse piena valenza probatoria ex art. 23, comma 1, D.Lgs. n. 82/2005.

La norma de qua, si rammenta, ai commi 1 e 2, dispone che le copie su supporto analogico di documento informatico avranno la stessa efficacia probatoria dell'originale da cui sono tratte, qualora la conformità all'originale in tutte le sue componenti sia attestata da pubblico ufficiale a ciò autorizzato.

Ora, la disposizione di cui alla mentovata norma - la cui portata è messa in estremo risalto dalla precisazione contenuta in seno al decisumin esame - è sine dubio applicabile alle controversie tributarie, specialmente a quelle cause ove il ricorrente abbia eccepito la omessa od irrituale notificazione del provvedimento esattivo ed il Riscossore, laddove l'atto oggetto di lite sia stato asseritamente notificato a mezzo PEC, produca in giudizio copie cartacee delle ricevute di "accettazione" e di "avvenuta consegna".

A ben guardare, dacché tali documenti - unici ope legis[8] deputati a comprovare il perfezionamento della notificazione telematica - vengono rilasciati in formato digitale dai gestori del servizio PEC utilizzati dal notificante e dal notificatario, ne consegue che, laddove l'Esattore ne produca in giudizio delle stampe cartacee (rectius delle copie analogiche degli originali informatici), queste dovranno necessariamente essere attestate conformi agli originali de quibus, in quanto, in caso contrario, saranno sprovviste di ogni valenza probatoria.

Sicché,il prefato disposto normativo, anche alla luce della precisazione dei Supremi giudici, consente agli operatori del diritto processual-tributario di avere una ulteriore freccia al proprio arco, che potrebbe rivelarsi vincente laddove scagliata nella retta maniera in tutte le cause aventi ad oggetto, ad esempio, la impugnazione "al buio" dei provvedimenti riscossivi od impo-esattivi, specie tenuto conto di quanto da ultimo ribadito, sempre dal Consesso di legittimità, in ordine all'assenza, in capo all'Esattore, del requisito di pubblico ufficiale autorizzato a rilasciare copia autentica di un atto in suo possesso formato da terzi nel suo interesse[9].

Difatti, ove il contribuente proponesse ricorso avverso una cartella di pagamento della quale è venuto a conoscenza aliunde, ovverosia solo per il tramite della stampa dell'estratto di ruolo, e ne chiedesse l'annullamento per omessa e/o irrituale notificazione, il resistente Esattore giammai potrebbe limitarsi a produrre in giudizio - nel caso in cui asserisse che la stessa fosse stata illo tempore notificata a mezzo PEC - mera copia analogica delle summenzionate ricevute di "avvenuta consegna" e di "accettazione" da esso stesso attestate conformi, in quanto, qualora agisse in tal guisa, la documentazione de qua dovrebbe ritenersi sostanzialmente sprovvista di attestazione di conformità e, pertanto, laddove il ricorrente ne opponesse il disconoscimento ex art. 23, comma 2, C.A.D., il giudizio non potrebbe che volgere alla conclusione con l'accoglimento delle lagnanze mosse dalla parte privata, per assenza di prova contraria in punto di omessa notificazione dell'impugnato atto.

Il processo tributario telematico

Se, con riguardo al processo civile telematico, i giudici di Vertice si sono limitati, senza soverchia difficoltà, a riconoscere - sulla scorta del diritto euro-unitario - la piena equipollenza tra le due tipologie di firma digitale PAdES e CAdES, un po' più intricata si palesa la disciplina afferente al processo tributario telematico.

Difatti, l'art. 10 del D.M. 4 agosto 2015, recante le specifiche tecniche relative all'uso di strumenti informatici e telematici nel processo tributario, impone che il ricorso ed ogni altro atto processuale in forma di documento informatico debbano esser "sottoscritti con firma digitale, pertanto il file ha la seguente denominazione: <nome file libero>.pdf.p7m", il che si traduce nell'obbligo di adoperare la firma digitale in formato CAdES nell'ambito del processo tributario telematico.

Sicché, è alquanto evidente che la siffatta disposizione collida con le raccomandazioni portate dal Regolamento UE, recepite dall'AgID (Agenzia per l'Italia Digitale) e distintamente fatte proprie dal Plenum della Suprema Corte in ordine al divieto, per i legislatori degli Stati membri, di prescrivere preferenze riguardo ad una tipologia di sottoscrizione informatica, piuttosto che ad un'altra.

Ora, apparentemente, il siffatto contrasto della norma domestica con quella euro-unitaria potrebbe esser risolto in maniera agevole dal giudice nazionale, il quale, in applicazione dei pacifici insegnamenti della Consulta[10], dovrebbe in fattispecie applicare la norma comunitaria in luogo di quella italiana, non essendo necessario il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia (dacché il contrasto non sussiste in via interpretativa, bensì immediata) e senza che, men che meno, occorra sollevare la questione di legittimità costituzionale (la quale è necessaria solo nell'impossibilità di risolvere il contrasto in via interpretativa e qualora, comunque, questo afferisca ad una norma euro-unitaria priva di efficacia diretta).

Se non fosse che, in fattispecie, tale strada non è percorribile alla luce di quanto prescritto dal precedente art. 7, comma 6 del medesimo D.M. 4 agosto 2015, il quale expressis verbis prevede che, nel caso in cui il S.I.Gi.T. (Sistema Informativo della Giustizia Tributaria) rilevi che il ricorso depositato telematicamente non sia stato firmato digitalmente in formato CAdES, non procederà con l'iscrizione a ruolo dello stesso, trattandosi di anomalia c.d. bloccante[11].

Di conseguenza, è evidente che nemmeno si ponga, per il giudice tributario, l'incombenza di dover risolvere l'antinomia tra la normativa domestica e quella euro-unitaria, risultando pressoché impossibile, nella prassi, ch'egli possa trovarsi dinnanzi ad un atto processuale non firmato digitalmente con lo standard CAdES, posto l'automatico rigetto da parte del S.I.Gi.T.

Ne consegue, pertanto, che il problema risiede a monte, nel mentovato svarione commesso dal Ministero dell'Economia e delle Finanze, per la cui risoluzione occorrerebbe un intervento del legislatore, che riconosca, agli addetti ai lavori, il diritto di adoperare anche lo standard PAdES per la sottoscrizione degli atti afferenti al processo tributario, conformandosi alle disposizioni della Commissione UE.

Considerazioni conclusive

I prevedibili approdi a cui è addivenuta la Suprema Corte - seppur afferenti al processo civile telematico - se da un lato hanno certamente ingenerato gli spunti di riflessione su cui ci si è soffermati in seno al presente intervento, dall'altro rappresentano l'ennesima occasione per mettere a nudo l'evidente marasma normativo e giurisprudenziale che affligge, nello specifico, la materia della digitalizzazione dell'Amministrazione finanziaria e del processo tributario.

Marasma che trae genesi da un legislatore poco accorto, laddove, nell'attività di normazione avente ad oggetto la notificazione telematica dei provvedimenti sostanziali tributari, non si è preoccupato di disporre in maniera inequivocabile l'obbligo di trasmissione del documento informatico firmato digitalmente secondo i format stabiliti dalla disciplina euro-unitaria, finendo poi per innescare quelle interpretazioni distorte di cui ci si è in precedenza occupati.

Od ancora, marasma scaturente da un Normatore a dir poco superficiale, allorquando, in patente contrasto con il diritto dell'Unione, ha imposto l'obbligo di utilizzo della firma digitale in formato CAdES per la redazione degli atti del processo tributario telematico[12].

Nell'attesa di un auspicato intervento normativo riparatore, la sensazione è che l'effetto più immediato che potrà discendere dal decisum in commento, con tutti gli scongiuri del caso, possa essere un repentino revirement della giurisprudenza di merito in materia di notificazione a mezzo PEC degli atti esattivi ed impositivi, la quale potrebbe esser erroneamente indotta a ritenere legittimi i procedimenti notificatori aventi ad oggetto la trasmissione della mera scansione dell'atto in semplice formato *.pdf sprovvisto anche della firma in formato PAdES, simili modo in cui superficialmente iniziò a considerare giuridicamente inesistenti le notificazioni per il sol fatto che gli atti risultavano per tabulas sprovvisti del formato *.p7m, erroneamente ritenendo che solo la mentovata estensione fosse garanzia dell'intervenuta apposizione della firma digitale.

De iure condito, non può che confidarsi nel contributo determinante dei professionisti abilitati alla difesa dinnanzi alle Commissioni tributarie.

Dott. Carlo Ferrari - Dott. Piergiacomo Giusto

Note e bibliografia:

[1] Mediante la firma CAdES, il file viene inserito nella c.d. busta crittografica CAdES, la quale è un file con estensione .p7m, il cui contenuto è visualizzabile solo attraverso idonei software in grado di "sbustare" il documento sottoscritto. Tale formato permette di firmare qualsiasi tipo di file, ma presenta lo svantaggio di non consentire di visualizzare il documento oggetto della sottoscrizione in modo agevole. Infatti, è necessario utilizzare un'applicazione specifica. La firma digitale in formato PAdES è un file con estensione .pdf, leggibile con i comuni reader disponibili per questo formato. Questa tipologia di firma, nota come "firma pdf", prevede diverse modalità per l'apposizione della firma, rende il documento più facilmente accessibile, ma consente di firmare solo documenti di tipo pdf. Per approfondimenti sulle caratteristiche dei due standard, si veda lo studio L'apposizione di firme e informazioni su documenti firmati, pubblicato nell'aprile 2014 sul sito dell'Agenzia per l'Italia Digitale (AgID).

[2] In termini, ex multis, Comm. trib. reg. Liguria, sent. 7 dicembre 2017, n. 1745; Comm. trib. reg. Campania, sent. 9 novembre 2017, n. 9464; Comm. trib. reg. Lazio, sent. 19 maggio 2017, n. 2904; Comm. trib. prov. di Agrigento, sent. 23 febbraio 2018, n. 430; Comm. trib. prov. di Treviso, sent. 16 febbraio 2018, n. 93; Comm. trib. prov. di Catania, sent. 26 gennaio 2018, n. 968; Comm. trib. prov. di La Spezia, sent. 5 ottobre 2017, n. 415; Comm. trib. prov. di Vicenza, sent. 19 settembre 2017, n. 615; Comm. trib. prov. di Messina, sent. 13 luglio 2017, n. 4632; Comm. trib. prov. di Reggio Emilia, sent. 31 luglio 2017, n. 204; Comm. trib. prov. di Milano, sent. 3 febbraio 2017, n. 1023; Comm. trib. prov. di Frosinone, sent. 1° dicembre 2016, n. 869.

[3] La disciplina della notificazione dei provvedimenti tributari sostanziali è stata da ultimo profondamente novellata dall'art. 7-quater del D.L. n. 193/2016, nel testo risultante dalla conversione operata dalla Legge n. 225/2016, con cui è stato inserito il nuovo comma 7 all'art. 60 del D.P.R. n. 600/1973 ed è stato nuovamente modificato il comma 2 dell'art. 26 (che adesso si limita ad enunciare un mero rimando alle disposizioni portate dal mentovato art. 60), estendendo la facoltà della notificazione mediante PEC anche agli Uffici dell'Amministrazione finanziaria, ferma restando la inapplicabilità dell'art. 149-bis c.p.c. Il legislatore ha così inteso dar vita ad una disciplina unitaria per gli atti impositivi e per quelli riscossivi, la quale trova applicazione a far data dal 1° luglio 2017.

[4] Sul tema si veda, senza pretese di esaustività, C. Ferrari - P. Giusto, "Notifica via pec degli atti tributari: primi interventi dei giudici di merito e criticità della novellata disciplina",in Corr. Trib., n. 26/2017,pag. 2075.

[5] Precedentemente, nel testo in vigore fino al 26 gennaio 2018, era l'art. 21 del C.A.D. a stabilire che il documento informatico sottoscritto con firma digitale, nel rispetto delle regole tecniche di cui al precedente art. 20, comma 3, è in possesso dell'efficacia ex art. 2702 c.c. e garantisce l'identificabilità dell'autore, l'integrità e l'immodificabilità del documento. La norma, così come buona parte delle disposizioni del C.A.D., è stata recentemente e significativamente novellata dal D.Lgs. 13 dicembre 2017, n. 217.

[6] Trattasi del Decreto attuativo del Codice dell'Amministrazione digitale, recante regole tecniche in materia di formazione, trasmissione, copia, duplicazione, riproduzione e validazione temporale dei documenti informatici delle Pubbliche amministrazioni, in vigore dal 13 dicembre 2014, le cui disposizioni trovano applicazione finché non verranno pubblicate le nuove Linee Guida dell'AgID ai sensi dell'art. 71 del D.Lgs. n. 82/2005.

[7] Si osserva che l'Agenzia per l'Italia digitale, con la Guida alla firma digitale a cura del "Centro nazionale per l'informatica nella pubblica amministrazione", pubblicata nell'aprile 2009, già da molti anni prendeva atto della equipollenza tra le due tipologie di firma digitale, riconosciuta ed imposta dal diritto euro-unitario.

[8] L'art. 6, commi 1, 2 e 3, del D.P.R. n. 68/2005, rubricato "Ricevute di accettazione e di avvenuta consegna", in siffatti testuali termini statuisce: "Il gestore di posta elettronica certificata utilizzato dal mittente fornisce al mittente stesso la ricevuta di accettazione nella quale sono contenuti i dati di certificazione che costituiscono prova dell'avvenuta spedizione di un messaggio di posta elettronica certificata. Il gestore di posta elettronica certificata utilizzato dal destinatario fornisce al mittente, all'indirizzo elettronico del mittente, la ricevuta di avvenuta consegna. La ricevuta di avvenuta consegna fornisce al mittente prova che il suo messaggio di posta elettronica certificata è effettivamente pervenuto all'indirizzo elettronico dichiarato dal destinatario e certifica il momento della consegna tramite un testo, leggibile dal mittente, contenente i dati di certificazione".

[9] Il riferimento è a Cass., sent. 4 aprile 2018, n. 8289, ove i Supremi Decidenti, in forza di un puntuale excursus normativo e giurisprudenziale, hanno dapprima rammentato che i soggetti inseriti nella struttura organizzativa e lavorativa di una S.p.A. possono essere considerati pubblici ufficiali, quando l'attività della società medesima sia disciplinata da una normativa pubblicistica e persegua finalità pubbliche, conseguendone che ogni atto preparatorio, propedeutico od accessorio, che esplichi nell'ambito del procedimento di riscossione, i suoi effetti certificativi, valutativi od autoritativi, comporta l'attuazione completa e connaturale dei fini dell'ente pubblico e non può essere isolato all'interno dell'intero contesto delle funzioni pubbliche e che, perciò, l'attività di riscossione mediante ruolo conferisce la qualità di pubblico ufficiale agli operatori delle S.p.A. di concessione. Purtuttavia, i giudici di legittimità hanno condivisibilmente concluso, sostenendo "che non si può affermare che l'agente della riscossione, che è parte di un giudizio ed al quale è richiesto di dare prova dell'espletamento di una attività notificatoria, sia consentito di attribuire autenticità agli avvisi di ricevimento, che costituiscono documenti di provenienza dell'ufficiale postale, dato che l'autenticazione della copia può essere fatta: a) dal pubblico ufficiale dal quale l'atto è stato emesso; b) o presso il quale è depositato l'originale (come nel caso dei ruoli emessi dall'Agenzia delle entrate, nel qual caso il concessionario è autorizzato a rilasciarne copia, nell'interesse dei terzi, ai sensi della Legge 4 gennaio 1968, n. 15, art. 14)".

[10] Cfr., ex multis, Corte cost., ord. 18 luglio 2013, n. 207; sent. 24 giugno 2010, n. 227.

[11] Quanto in questa sede affermato trova pieno riscontro anche nei chiarimenti forniti dal MEF con il Quaderno del Processo Tributario Telematico pubblicato, nel maggio 2017, a cura della Direzione della Giustizia tributaria.

[12] Non ci si è poi soffermati - esulando esse dall'oggetto del presente articolo - sulle sostanziose novelle introdotte da ultimo con il D.Lgs. 13 dicembre 2017, n. 217, con cui il legislatore ha, per l'ennesima volta, profondamente modificato il C.A.D., peraltro introducendo una clausola che momentaneamente "congela" quell'obbligo di adeguamento dei sistemi di gestione informatica dei documenti, imposto all'Agenzia delle entrate, a far data dal 12 agosto 2016, dal D.P.C.M. 13 novembre 2014, pur facendo salva la facoltà per le amministrazioni di adeguarvisi spontaneamente, così inducendo tutti gli Uffici dell'Amministrazione fiscale a compiere un discutibile dietrofront, ritornando ad emettere gli originali degli avvisi di accertamento in formato analogico, con sottoscrizione autografa del Direttore provinciale o di un funzionario delegato, dopo che, per circa un anno, si era aperta la stagione del provvedimento impositivo digitale.