Corte Cost., Sent. 17.10.2023, n. 190
Legittimità costituzionale sull'impugnabilità della cartella per il tramite dell'estratto di ruolo: per la Corte, la tutela è talmente lacunosa da auspicare un intervento normativo del legislatore.
Con ordinanza del 23 gennaio 2023 (r.o. n. 18 del 2023), la Corte di giustizia tributaria di primo grado di Napoli ha sollevato, nel corso di un giudizio tributario promosso in data 28 luglio 2021 e in riferimento agli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell'art. 12, comma 4-bis, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602. [...]
Il giudice rimettente muove dalla premessa che la disposizione richiamata «costituisce norma processuale di immediata applicazione e pertanto ne va fatta applicazione anche nel presente giudizio» in quanto la recente «S.C. a SS.UU. (sent. 06/09/2022, n. 26283)» avrebbe sancito «che tale norma si applica anche ai processi pendenti, qualificandola come una condizione dell'azione di natura "dinamica" e quindi con dimostrazione a carico della parte che deve così dar prova dell'attualità del suo interesse ad agire (e cioè della sussistenza delle ipotesi previste dalla norma stessa).
La CGT ripercorre, poi, l'iter giurisprudenziale in ordine alla possibilità di impugnazione "diretta" ed "anticipata" di ruolo e cartella, richiamando «la Cass. a SS.UU. (sent. 19704/2015)» che avrebbe affermato «l'immediata impugnabilità del Ruolo in mancanza di notifica della Cartella senza dover necessariamente attendere la notifica di un atto successivo, e ciò in base ad una lettura dell'art. 19 citato, orientata alla tutela del diritto di difesa previsto in Costituzione.
In tale pronuncia sarebbe stata valorizzata la circostanza per cui, a causa dell'esecutività del ruolo non impugnato, il contribuente rischiava di vedersi esposto ad una procedura esecutiva con tutela solo risarcitoria e quindi «"postuma"» dei suoi diritti, sicché «la mancanza/nullità della notifica non inficia di per sé il Ruolo e/o la Cartella, ma rende possibile l'esame del merito della pretesa, in funzione recuperatoria al fine di contestarne l'attualità ad es. per l'intervenuta prescrizione. [...]
Il rimettente, poi, precisa che, «applicando la norma», il ricorso sarebbe destinato «ad essere dichiarato inammissibile perché si tratta di impugnativa del c.d. Estratto di Ruolo ( : impugnativa rectius immediata del Ruolo a prescindere dalla notifica di un atto) al di fuori delle ipotesi previste dal comma 4 bis. Se, invece, la norma di cui alla novella dovesse essere ritenuta costituzionalmente illegittima nella parte in cui consente l'impugnativa "diretta" esclusivamente nelle ipotesi in essa previste (pregiudizi sorti nei rapporti con la pubblica amministrazione), il ricorso del contribuente dovrebbe essere accolto.
Ciò in quanto [...] vi sarebbe violazione del principio di uguaglianza in quanto la tutela giurisdizionale del contribuente avverso la pretesa tributaria risulterebbe «diversa (e deteriore) laddove sia competente il GT rispetto alla tutela accordata innanzi al G.O. per le medesime ipotesi e per le medesime ragioni».
La CGT, quindi, rimarca che «[l]a riforma del 2021 e la successiva interpretazione delle SS.UU. del 2022» avrebbero mutato «notevolmente il quadro», rendendo «oggettivamente più difficoltosa la possibilità di tutela innanzi al G.T.».
Un esempio della tutela affievolita del contribuente si rinverrebbe nell'istituto della prescrizione, in quanto «laddove essa venga fatta valere contro una cartella che si assume non notificata l'impugnativa va fatta al G.T.», ma non sarebbe più possibile «in via immediata» – tranne che nelle ipotesi previste dalla novella – essendo necessario «attendere la notifica di un atto successivo (magari esecutivo) per poter contestare la pretesa (con evidenti rischi di tutela meramente risarcitoria)». [...]
Sotto un secondo profilo, la violazione del principio di uguaglianza si verificherebbe perché le ipotesi previste dalla norma censurata non esaurirebbero tutti i possibili pregiudizi derivanti dal permanere di un'indebita iscrizione a ruolo. Infatti, per il rimettente l'impugnazione immediata di ruolo e cartella, invalidamente notificati, sarebbe consentita in virtù della nuova norma solo per i tre «pregiudizi» individuati dalla legge, tutti legati ai rapporti del contribuente con la pubblica amministrazione, mentre resterebbero irragionevolmente sforniti di tutela immediata, tra gli altri: a) il pregiudizio riguardante «la stessa possibilità di subire l'esecuzione senza poter preventivamente paralizzare la pretesa (ma dovendosi necessariamente […] affidare ad una tutela di urgenza, in presenza magari di un pignoramento di uno stipendio)»; b) quello per cui «gli Istituti di Credito (pur non potendo accedere direttamente all'anagrafe tributaria) sono molto attenti ai debiti tributari ed un'impresa che esponesse debiti fiscali in bilancio (anche se risalenti e con indicazione della contestazione degli stessi) vedrebbe senza dubbio peggiorare il suo rating e avrebbe difficoltà per l'accesso al credito, almeno non a condizioni ottimali»; c) nonché quello relativo a «qualsiasi altro mutuo, anche in favore di soggetti non esercenti attività di impresa».
Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo di dichiarare inammissibili e, comunque, non fondate le questioni. Preliminarmente, l'Avvocatura eccepisce l'inammissibilità «parziale» delle questioni per difetto di rilevanza «laddove il Giudice rimettente sostiene che le ipotesi di cui al citato comma 4-bis non esaurirebbero tutti i possibili pregiudizi correlati ad un'indebita iscrizione a ruolo meritevoli di tutela anticipata». La CGT, infatti, avrebbe proceduto ad «una elencazione esemplificativa di casi non contemplati dalla legge e rispetto ai quali, a suo avviso, preponderanti esigenze di parità di trattamento (art. 3 Cost.) e di tutela del diritto di difesa (artt. 24 e 113 Cost.) imporrebbero comunque di riconoscere la tutela anticipata».
Tuttavia, per la difesa dello Stato, non sarebbe stato né allegato né dimostrato dal contribuente «alcun ipotetico pregiudizio» asseritamente subito, diverso da quelli tipizzati dal legislatore, ma comunque meritevole di tutela anticipata. Per l'Avvocatura, dunque, «[i]n un contesto di giurisdizione "soggettiva"» non potrebbe predicarsi la sussistenza di un interesse a ricorrere avverso l'estratto di ruolo «in assenza di una lesione giuridicamente rilevante». La norma censurata, quindi, non sarebbe destinata a trovare applicazione nel caso di specie. [...]
Il rimettente precisa poi che «l'impianto della norma tipicizza le ipotesi in cui è ammessa l'impugnazione del ruolo e della cartella di pagamento», sicché l'ambito delle previsioni sarebbe alquanto riduttivo e discriminerebbe tutti i contribuenti che non operano con la pubblica amministrazione, i quali però dalla iscrizione a ruolo del debito erariale subiscono un pregiudizio. In tal modo il diritto ad un equo processo sarebbe riservato, dalla norma censurata, solo a coloro che intrattengono rapporti con la pubblica amministrazione. La nuova disposizione, prosegue il Giudice di pace, «potrebbe introdurre disparità di trattamento tra un'impresa ammessa alla tutela "preventiva" per partecipare a una gara d'appalto e una persona fisica, potenziale destinataria di un pignoramento del conto corrente e/o di un preavviso di ipoteca, alla quale è preclusa l'azione giudiziaria anticipata» che, invece, sarebbe stata «già ampiamente garantita prima della novella». Infatti, un interesse attuale e concreto del contribuente all'impugnazione "diretta" potrebbe ravvisarsi anche in situazioni omogenee rispetto a quelle inerenti ai rapporti con la pubblica amministrazione. Da questo punto di vista, una grave situazione di pendenze fiscali potrebbe, a detta del giudice a quo, determinare l'esclusione anche da un qualsiasi contratto, anche di appalto, in regime privatistico, poiché l'avvenuta inclusione dei reati tributari tra i reati-presupposto del d.lgs. n. 231/2001 spinge […] anche i contraenti privati […] ad una attenta verifica circa le pendenze fiscali delle potenziali controparti». Inoltre andrebbero considerati, ai fini della necessità della tutela anticipata, la «possibile mancata concessione […] riduzione e/o […] revoca di finanziamenti bancari», come pure gli «effetti ostativi dei debiti fiscali sulla circolazione delle aziende, le cui vicende risulterebbero negativamente influenzate, in termini di prezzo e/o di garanzie, dalle pendenze risultanti dall'estratto di ruolo o da altro documento quale la certificazione di cui all'art. 14, d.lgs. n. 472/97».
La CGT – che, seguendo l'interpretazione fornita dalla sentenza delle sezioni unite della Corte di cassazione n. 26283 del 2022, ha ritenuto tale novella applicabile anche ai giudizi pendenti – in punto di rilevanza evidenzia che, se le questioni di legittimità costituzionale fossero ritenute non fondate, troverebbe applicazione la norma censurata, che identifica l'interesse ad agire esclusivamente in pregiudizi attinenti ai rapporti con la pubblica amministrazione, sicché il ricorso dovrebbe essere dichiarato inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse. Diversamente, se le stesse questioni fossero ritenute fondate, «nella parte in cui [la norma] non consente l'impugnativa diretta al di fuori delle ipotesi da essa stessa previste», permarrebbe l'interesse ad agire del contribuente e, in assenza di atti interruttivi, stante l'acclarata invalidità della notificazione della cartella, dovrebbe essere dichiarata la prescrizione del credito tributario.
Il giudice a quo, quanto alla non manifesta infondatezza, con riferimento al parametro di cui all'art. 3 Cost., deduce la violazione del principio di uguaglianza, poiché, a seguito della novella, la tutela giurisdizionale del contribuente dinanzi al giudice tributario sarebbe «diversa (e deteriore) laddove sia competente il GT rispetto alla tutela accordata innanzi al G.O. per le medesime ipotesi e per le medesime ragioni». Infatti, per il rimettente, questa Corte, con la sentenza n. 114 del 2018, avrebbe «sancito l'ammissibilità delle opposizioni ex art. 615 cpc (innanzi al G.O.) laddove esse non riguardino "contestazioni del titolo" che invece sono riservate al G.T.». Tale sentenza si sarebbe «inseri[ta] nel solco delle SS.UU. del 2015 completando la tutela del contribuente», in quanto in tal modo «[i]l Ruolo risultava sempre impugnabile: innanzi al G.T. in mancanza di notifica di un atto (funzione recuperatoria) ed innanzi al G.O. per le questioni successive che non riguardavano più il titolo (in mancanza di impugnazioni l'avvenuta notifica cristallizzava la pretesa tributaria)». La CGT, quindi, rimarca che «[l]a riforma del 2021 e la successiva interpretazione delle SS.UU. del 2022» avrebbero mutato «notevolmente il quadro», rendendo «oggettivamente più difficoltosa la possibilità di tutela innanzi al G.T.». Infatti, l'intervenuta prescrizione – esemplifica il rimettente – non potrebbe più essere dedotta «in via immediata» dinanzi a quest'ultimo – tranne che nelle ipotesi previste dalla novella – essendo necessario «attendere la notifica di un atto successivo (magari esecutivo) per poter contestare la pretesa (con evidenti rischi di tutela meramente risarcitoria)».
Inoltre, sotto un secondo profilo, la CGT reputa sussistere la violazione del principio di uguaglianza anche perché le ipotesi stabilite dalla norma censurata non esaurirebbero «tutti i possibili pregiudizi che si possono avere dal permanere di un'indebita iscrizione a Ruolo». Infatti, per il rimettente l'impugnazione immediata di ruolo e cartella, invalidamente notificati, sarebbe consentita in virtù della nuova norma solo per i tre «pregiudizi» individuati dalla legge, tutti legati ai rapporti del contribuente con la pubblica amministrazione, mentre resterebbero irragionevolmente escluse ipotesi di possibili «pregiudizi» che meriterebbero analoga forma di tutela (pignoramento di una parte dello stipendio; difficoltà di accesso al credito bancario per un rating di impresa compromesso dai carichi fiscali iscritti; richiesta di mutuo da parte di soggetti «non esercenti attività di impresa»; segnalazioni dei creditori pubblici «qualificati»).
Va rilevata d'ufficio, per difetto di motivazione sulla rilevanza, l'inammissibilità delle questioni sollevate dal Giudice di pace di Napoli.
Invero, il rimettente si è limitato ad allegare, in modo del tutto generico e avulso dai fatti di causa, che «la questione assume grande rilievo sia per il cospicuo contenzioso pendente […] sia per la soluzione poco condivisibile suggerita dalla S.C. a SS.UU. in ordine alla efficacia retroattiva di una norma», senza fornire alcun chiarimento sull'effettiva validità o meno delle notifiche effettuate dall'ADER. Al contrario, ai fini della valutazione sulla rilevanza, il rimettente avrebbe dovuto indicare con precisione la tipologia dell'atto impositivo e soprattutto le concrete modalità utilizzate per la sua notificazione, chiarendo se la stessa fosse stata o meno regolarmente effettuata.
Quanto al giudizio relativo all'ordinanza emessa dalla CGT (r.o. n. 18 del 2023), va innanzitutto considerata l'eccezione di «parziale inammissibilità» delle questioni per difetto di rilevanza sollevata dall'Avvocatura generale dello Stato.
Ad avviso della difesa erariale il rimettente non avrebbe indicato e «nemmeno ipotizzato» il pregiudizio – diverso da quelli relativi a rapporti con la pubblica amministrazione – che avrebbe, in tesi, integrato il bisogno di tutela giurisdizionale, e quindi l'interesse ad agire del contribuente. L'eccezione, in questi termini, non è fondata.
La CGT ha compiutamente evidenziato i profili di rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale.
Per il giudice a quo, infatti, «applicando la norma» in conformità con il diritto vivente, si dovrebbe dichiarare l'inammissibilità del ricorso del contribuente, che non sarebbe sorretto dalla condizione dell'azione rappresentata dall'interesse ad agire, come declinato nelle ipotesi tassative di cui all'art. 12, comma 4-bis, del d.P.R. n. 602 del 1973 (pregiudizio sorto nei rapporti con la pubblica amministrazione). Se, invece, fossero ritenute fondate le questioni di legittimità costituzionale della nuova norma, dovrebbe affermarsi la sussistenza dell'interesse ad agire del contribuente; e ciò in quanto, come precisa il rimettente, con riferimento alla «Tarsu […] relativa all'anno 2012», in assenza di «atti validi notificati» interruttivi della prescrizione del credito tributario, «la relativa pretesa dovrebbe essere dichiarata prescritta».
Le questioni sollevate dalla CGT, tuttavia, sono inammissibili per un diverso ordine di ragioni.
Una lettura costituzionalmente orientata di tale norma impone di ritenere che la ivi prevista impugnabilità dell'atto precedente non notificato unitamente all'atto successivo notificato non costituisca l'unica possibilità di far valere l'invalidità della notifica di un atto del quale il contribuente sia comunque legittimamente venuto a conoscenza e pertanto non escluda la possibilità di far valere tale invalidità anche prima, nel doveroso rispetto del diritto del contribuente a non vedere senza motivo compresso, ritardato, reso più difficile ovvero più gravoso il proprio accesso alla tutela giurisdizionale quando ciò non sia imposto dalla stringente necessità di garantire diritti o interessi di pari rilievo rispetto ai quali si ponga un concreto problema di reciproca limitazione. [...]
L'introdotta possibilità di impugnare la cartella di pagamento che si ritenga invalidamente notificata ha però condotto all'enorme proliferazione, negli ultimi anni, di controversie strumentali di impugnazione degli estratti di ruolo radicate dai debitori iscritti a ruolo, con un aumento esponenziale delle cause radicate innanzi alle Commissioni Tributarie, ai Giudici di Pace e, più in generale, alla Magistratura ordinaria per far valere, spesso pretestuosamente, ogni sorta d'eccezione avverso cartelle notificate anche molti anni prima, senza che l'Agente della riscossione si fosse attivato in alcun modo per il recupero delle pretese ad esse sottese, e perfino nei casi in cui vi avesse rinunciato, anche nell'esercizio dell'autotutela.
A fronte di una tale proliferazione di ricorsi, che ha messo in crisi il sistema di tutela giurisdizionale, il legislatore è intervenuto con la disposizione censurata nei soli casi in cui il debitore che agisce in giudizio dimostri che dall'iscrizione a ruolo possa derivargli un pregiudizio per la partecipazione a una procedura di appalto, oppure per la riscossione di somme allo stesso dovute dai soggetti pubblici o infine per la perdita di un beneficio nei rapporti con una pubblica amministrazione.
E' indubbio che a tale esito si è giunti incidendo sull'ampiezza della tutela giurisdizionale.
Un vuoto di tutela potrebbe ingenerarsi in forza del fatto che potrebbe non esservi mai un successivo atto – sia perché non correttamente notificato, sia per inerzia della amministrazione finanziaria – che consenta di impugnare, indirettamente, anche la cartella (e, per il tramite di essa, il ruolo) non validamente notificata.
In questa prospettiva il "bisogno" di tutela giurisdizionale si può allora egualmente manifestare in situazioni diverse da quelle considerate nella norma censurata: significativa è l'ipotesi di cessione di azienda, in cui l'esistenza di un considerevole debito fiscale risultante dall'estratto di ruolo – ma che il contribuente non ha mai potuto contestare a causa dell'invalida notifica, oppure che dovrebbe ritenersi prescritto –, per effetto della responsabilità solidale del cessionario, può incidere sul valore di cessione dell'azienda stessa.
Inoltre, una situazione "analoga" a quelle considerate dalla norma censurata potrebbe verificarsi per quei debitori che operino con soggetti diversi dalla pubblica amministrazione: anche i contraenti privati potrebbero richiedere una attenta verifica circa le pendenze fiscali delle potenziali controparti, che potrebbero pertanto venire escluse dalle contrattazioni a causa di estratti di ruolo gravati da iscrizioni che, come detto sopra, il contribuente non ha mai potuto contestare a causa dell'invalida notifica, oppure che sono relative a debiti ormai chiaramente prescritti.
Il rimedio alla situazione che si è prodotta per effetto della norma censurata coinvolge però profili rimessi – quanto alle forme e alle modalità – alla discrezionalità del legislatore e non spetta, almeno in prima battuta, a questa Corte; tale risultato può, infatti, essere ottenuto intervenendo in più direzioni, peraltro non alternative: sia, da un lato, estendendo, con i criteri ritenuti opportuni, la possibilità di una tutela "anticipata" a fattispecie ulteriori (quali quelle prima qui indicate) rispetto a quelle previste dalla norma censurata, sia, dall'altro, agendo in radice, ovvero sulle patologie che ancora permangono nel sistema italiano della riscossione.
Di qui l'inammissibilità delle questioni sollevate, dal momento che, come emerge dalla stessa prospettazione del rimettente, il rimedio al vulnus riscontrato richiede, in realtà, un intervento normativo di sistema.